martedì 20 maggio 2008

I demoni di San Pietroburgo

Chi decide di farla finita deve scegliere un metodo sicuro. Il TGV Parigi Lione va benissimo. Non i barbiturici, dai quali si esce con la lavanda gastrica, non il ponte sul torrente Chiusella che potrebbe non essere in secca. E neppure “I demoni di San Pietroburgo”.Vai al cinema convinto di non uscirne vivo, ti siedi e aspetti la Fine, sapendo che prima che arrivi a liberarti soffrirai come un cane. Giuliano Montaldo regista di un film su uno scrittore russo dell’800 è una garanzia più potente del cianuro. Le prime scene sono promettenti: mal costruite, con descrizioni di improbabili mendicanti, e peggio recitate, con il protagonista, lo scrittore Dostojevskij che ti urla improvvisamente nelle orecchie senza che ve ne sia alcuna necessità. Ma ad un tratto l’agonia si interrompe e scopri che il film ha una trama ed è una trama abbastanza forte da distrarti mentre pensi se a casa troveranno il testamento. I flash back dei 10 anni trascorsi dallo scrittore in Siberia sono resi bene, la storia va giù liscia. Si crea una certa tensione nel film, una suspence, come si diceva nell’800, tanto che ad un tratto il presunto polpettone diventa un thriller. Vorresti tornare alle grigie speranze iniziali, ma un attore secondario, Roberto Herlitzka, sale in cattedra alle spese del protagonista e fa obiezione di coscienza contro l’eutanasia dello spettatore. Ci riesce così bene che ti fai prendere dalla storia, sperando in qualche caduta di stile che ti dia la coltellata finale, ma non accade. Il finale ti ritrova vivo sulla poltroncina scomodissima, dopo acver visto un film tutto sommato accettabile, a guardarti intorno, cercando con lo sguardo gli occhi smarriti e increduli di altri suicidi falliti.  Che depressione!


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