lunedì 20 ottobre 2008

Vicky Cristina Barcelona

Avete una moglie  (o un marito) che russa? Anche al cinema? Allora portatela a vedere “Vicky Cristina Barcelona”. Mentre le sue palpebre si abbatteranno come le azioni Unicredit nel portafoglio titoli di famiglia e lei/lui intonerà la dolce sigla del sonno per turbinati nasali deviati e corno, voi potrete decidere se imitarla o se far brillare gli occhietti nel buio per Scarlett Johansson, Rebecca Hall e Penelope Cruz, oppure per Javier Bradem. Quest’ultimo, è bene ricordarlo, è il meraviglioso assassino di “Non è un paese per vecchi”, dei fratelli Coen.

Il film è un Woody Allen duepuntozero. Potete vederlo solo se non avete sonno e se siete under 30. Oppure, se più anziani, se avete disinstallato definitivamente dal vostro cervello rigido per l’arteriosclerosi la versione 1.0, quella di “Provaci ancora Sam” per capirci.

Fatto questo, il film sarebbe anche godibile. Per capire se un film ti sta prendendo, a volte bastano una scena o una frase. Questa affiora puntuale sulle labbra piene di Scarlett Johansson, leggermente ubriaca, del tutto morbida e trasudante ferormoni. Dice la bionda a Javier Bradem, che lei si trova lì per fare l’amore, ma se scoprisse che lui indossa mutande del tipo sbagliato...allora no.

A quel punto se tu, spettatore maschio, pensi a che tipo di mutande hai indosso, e se ti prende il terrore di avere quelle sbagliate (e ti prende) significa che stai tentando di farti la Johansson, il che vuol dire che il film sta facendo il suo lavoro e che tu sei fuori come un melone.

C’era un condizionale buttato lì qualche riga sopra. Non è uno sbaglio. È per via della voce narrante, che rovina il film. Con petulante regolarità introduce, riassume e spiega ogni scena come un libro di Kundera. Non puoi farci niente, nemmeno concentrarti sul russare del compagno di poltrona, perché la voce è più forte. Non resta che ascoltare gli inutili commenti e sperare che questo bug venga eliminato nei prossimi film di Woody Allen, magari nella versione 3.0