sabato 10 ottobre 2015

Padri e figlie

Parliamo dai dialoghi. Chi li ha scritti? E' come a casa mia quando chiedo chi ha preso le mie ciabatte. Non risponde nessuno, eppure le ciabatte sono sparite. 
Qui nessuno si vuol prendere la paternità di frasi come "La vita ci mette alla prova ma dobbiamo andare avanti, pensare che ci sia qualcosa di migliore" Oppure "Mamma ci guarda da lassù e ci guida". Oppure ancora "Ero sceso dalla macchina, in Africa per pisciare e un leone maschio enorme era lì a 4 metri da me e mi guardava. Poteva uccidermi in un secondo e lì ho capito che volevo diventare uno scrittore". Vorrei parlare anche di altro che non siano i dialoghi, ma allora dovrei dire della lentezza, della voglia di uscire dal cinema prima della fine, dei dejà vu, della recitazione, delle tette che non si vedono mai, di Muccino che deve essersi preso la rosolia. Faccio prima a dire che è una merda di film. Del resto 6 auto nel parcheggio e 8 persone in sala lo dicono meglio e più forte di me,

domenica 4 ottobre 2015

Sostiene Pereira

Ho impiegato più tempo del lecito per leggere questo breve romanzo. Il problema non è del libro, ma mio che l'ho fruito in modalità REM (rapid eye movement). Gli occhi si muovono da sinistra verso destra velocemente, poi tornano a sinistra e vanno a destra, esattamente come quando si legge o come quando si riporta il carrello della macchina per scrivere al punto di inizio riga, se qualcuno se ne ricorda.
La difficoltà della lettura REM consiste nel vedere e capire il testo: il libro è lì, regolarmente aperto, ma le palpebre sono chiuse, il cervello è spento e il respiro chissà dov'è.
Il sonno, tuttavia, è coerente con questo libro perché “Sostiene Pereira” è la cronaca di un risveglio, quello del maturo dottor Pereira, vedovo, abitudinario, che comincia a esistere quando prende atto che esiste un mondo intorno a sé. Non si addormenterà più grazie alla sua coscienza e alla penna di Tabucchi. Il quale oltre al romanzo ci consegna una nota a fine libro tra le più belle che abbia letto: la genesi del personaggio Pereira è affascinante quanto il romanzo.
Non mi resta che scusarmi con Pereira e con il suo autore se sono stato tanto lento.

È un periodo così: mi metto a letto con gli occhiali e le migliori intenzioni e mi implucco in pochi minuti. È sicuramente colpa della stagione. Quello che non so dire è se si tratti della stagione dell'anno o di quella della vita.

giovedì 1 ottobre 2015

Espulsione

L'anno è il 1990, il mese agosto o inizio settembre.
Una mattina presto parto da Torino con la mia A112 Elite blu notte, con le tre spie dell'econometro a farmi compagnia. Salgo al colle del Monginevro, passo da Gap e poi dirigo verso il centro della Francia. Un viaggio lunghissimo, pallosissimo, con troppa luce e il pericolo di addormentarmi al volante, perché la sera prima avevo fatto molto tardi.
Dove stavo andando? Il nome del paese non lo ricordo mai, ma è proprio nel mezzo della Francia. Lì mi aspettavano il mio amico P (lo chiamo P perché non credo desideri che si sappia che era mio amico), la sua ragazza di allora VB (non sarebbe felice nemmeno lei) e la sorella di V, LB (che mi denuncerebbe).
Non riporto qui tutto il viaggio in tempo reale perché vi perderei tutti per strada. Diciamo che arrivai al paesino verso le cinque del pomeriggio. Individuai la casa tra le altre del villaggio. Tutte case in pietra e legno, un borgo medievale che visiterei oggi con altri occhi e altro interesse. Il mio interesse di quel giorno e di quel viaggio era tutto per LB. 
Apro una breve parentesi.

Io e l'amico P avevamo conosciuto le sorelle B un anno prima sulla spiaggia di Saint Tropez.
Loro parigine, noi torinesi. Quale migliore combinazione? Non si dice, forse, che Parigi è una piccola Torino? Ricordo che conoscendo bene il francese attaccai discorso con le sorelle e maman. Ci piacemmo. L'amico P stava un po' in disparte perché non conosceva la lingua.

A me piaceva L, ma era V a ridere e considerarci di più, perciò quando la sera ci fu da lasciare la spiaggia, chiesi a V di rimanere un po' con me a vedere il tramonto.
Iniziò bene, con qualche bacio e qualche carezza e finì subito con lei che diceva: “Veramente a me piace il tuo amico”. Voi che avreste fatto? Lo avreste detto al vostro amico? 
Io lo feci e passai il resto della settimana da solo.

Torniamo al 1990. Arrivo al villaggio dove dovrei incontrare P e le due sorelle. Il mio obiettivo questa volta è L, ma quando arrivo non c'è nessuno. Sono stanchissimo e aspetto. Aspetto. Aspetto. Aspetto.
Quando infine arrivano tutti a bordo della Panda bianca di P, mi faccio passare il nervoso e mi avvicino per salutare. Non tornano i conti, però: oltre a P, VB e LB c'è anche un'altra ragazza, bionda, quasi albina. Si chiama Blanche, dico il nome e me ne frego delle conseguenze. Certo, la presenza di questa ragazza complica un po' le cose, ma per i miei piani sarebbe stato ben peggio se al suo posto ci fosse stato un Pierre o un Gerard. La scintilla di antipatia reciproca con Blanche scocca immediatamente, non appena ci sfioriamo la punta delle dita.
Che si fa? Si va a fare un giro nella cittadina di … Ma come un giro? Sono stanco morto, ceniamo presto e andiamo a letto, possibilmente insieme, penso io. Invece andiamo in questa cittadina, che adesso visiterei con altri occhi e altro interesse e torniamo al villaggio e all'antica magione che è buio. Si cena? Sì, ma non a casa, si va in paese. Ma come? Ancora chilometri? Sì, si va in paese.
Prendiamo tutte e due le macchine. È un dettaglio importante, fate attenzione. Sulla Panda di P salgono P e la sua ragazza VB (quella con cui avevo limonato dieci minuti l'anno prima). Sulla mia A112 salgono LB e la simpatica Blanche. Io guido, loro parlano fitto fitto. Io capisco solo che sono lo chauffeur.
Arriviamo in paese, sei o sette chilometri più tardi e individuiamo il ristorante. Finalmente.

A tavola finisco davanti a Blanche. Ordiniamo. Non ricordo cosa presi io, ma lei ordinò escargot! Le famose escargot alla parigina. Non ci avevo pensato e non le avevo viste sul menu! Pazienza.
Quando arrivano i piatti, Blanche allunga la forchetta nel mio e mi chiede se può assaggiare. - Bien sur! - dico io, che voglio sembrare simpatico agli occhi della sua amica L.

Lei si serve un assaggio abbondante, mentre le porzioni francesi, come si sa, abbondanti non sono mai. Non importa.
Quand'ecco che arrivano les escargot fumanti!
Aspetto un attimo poi prendo la mia forchetta e l'avvicino al piatto di Blanche.
- Est ce que je peux esseyer? - le domando con la forchetta per aria. Giusto una formalità.
Lei scuote la testa e dice - Non -.
- Come no? -

Lei non solo dice no, ma si allontana con il piatto per toglierlo dalla mia portata. E non sta scherzando. Non è una mossa simpatica per poi darmi un paio di lumache. No, se le finisce e pulisce pure il piatto.
Mi incazzo dentro. Solo dentro. Fuori non deve trapelare nulla perché in un solo istante ho già elaborato un piano per ucciderla e non vorrei che gli amici finissero per guardare me quando i gendarmi verranno a chiedere se Blanche avesse dei nemici.
Mi accontento dell'insalata mal lavata, poco sbattuta e condita con una salsa biancastra, e aspetto pazientemente la fine della cena.

Si risale in auto e arriva il mio momento.
P fa salire VB e partono con la Panda.
Io aspetto un attimo, poi salgo sulla A112, sollevo il sedile del passeggero e invito la mia amica L a salire dietro.

Non appena lei è sistemata dietro, senza nemmeno abbassare il sedile e mentre la troia Blanche fa per salire sulla mia macchina, lei che mi ha rifiutato l'assaggio, che mi ha spazzolato metà del mio risotto o quel che era, lei che vorrebbe appoggiare il suo culo di merda sul mio sedile, mentre fa questo, io mi allungo e la chiudo fuori: Slam! Il motore è già acceso, la prima è già ingranata e l'A112 fa una di quelle sgommate che la rendono tanto popolare tra i truzzi.
L'amica L è talmente scioccata per quello che ho fatto che non riesce a parlare. Dopo urlerà soltanto mentre prenderò le curve ad una certa velocità. L'amico P è già avanti e non sa che c'è una stronza tutta sola, al buio, davanti a un ristorante. Peccato che fosse il 1990. Adesso la decapiterebbero in un niente.
Percorro i sei o sette chilometri con L che piange e mi urla nelle orecchie. Non capisco se è incazzata o se ha paura per come sto guidando. Ho una sola certezza: non me la darà nemmeno stavolta. Dopo poco mi calmo, raggiungo la Panda di P e mi accodo a lui fino a casa. Quando scendiamo manca una persona. Eh sì. P non capisce, V non capisce L ha capito che sono pazzo e sta urlando a sua sorella e a P. Anche se non capisco bene le parole, credo che ce l'abbia con me. Sì, ho sbagliato, ma mi sento proprio bene. Penso sia meglio non farmi vedere in giro e salgo in solaio dove hanno allestito i letti per gli ospiti.
Dopo una mezz'ora mi raggiunge P che nel frattempo è tornato a prendere Blanche. Mi chiede la mia versione dei fatti e mentre gli dico, sdegnato: “non mi ha fatto assaggiare le lumache” mi rendo conto che non regge. Lui annuisce poi mi riferisce il verdetto: L. ha detto che all'alba me ne devo andare.
Espulso. È giusto. Non presento nemmeno ricorso.