martedì 17 novembre 2015

Dio esiste e vive a Bruxelles

Se avessi scritto questo commento il giorno dopo aver visto il film, sull'onda dell'emozione, avrei detto che è forse il più bel film che abbia mai visto. Oggi, a una settimana di distanza, recuperata lucidità e oggettività, posso affermare che “Dio esiste e abita a Bruxelles” è il più bel film che abbia mai visto. Il “forse” della prima frase l'ho perso nei giorni seguenti, quando scene, idee, parole e immagini continuavano a venirmi su, come i peperoni alla bagna caoda. I miei figli 2 e 3, che erano con me, hanno il mio stesso alito. Dare il massimo dei voti richiede qualche argomentazione. Io non me la sento tanto. Non so nemmeno dire a quale genere appartenga. È una commedia? Forse, nella misura in cui una canzone di De André può essere considerata una canzonetta. È un dramma? Proprio no, anche se questo film parla soprattutto di morte. Facciamo così. Mi spendo un credito, sempre che in anni di commenti ne abbia accumulato qualcuno. Vi dico fidatevi e andate a vederlo quando uscirà nelle sale il 26 novembre. Purtroppo sarete un po' prevenuti se avrete letto queste righe e quindi probabilmente non lo troverete il film più bello che abbiate mai visto, ma non importa, perché sotto sotto, senza che voi ve ne accorgiate, lui lavorerà in background e vi farà svegliare con i peperoni nello stomaco. Fidatevi.

domenica 15 novembre 2015

Luna

Gabriele tornava a casa stanco, ma molto fiero del suo nuovo lavoro di aiuto doppiatore di astronauti, una di quelle professioni che prima di una certa data non esisteva, ma che ora, invece, andava per la maggiore. Era ancora più fiero di aver ottenuto il posto senza raccomandazioni. Aveva risposto ad un annuncio apparso sul giornale. Tutto qui.
E adesso cresceva, perché il capo, al Centro Doppiaggio Astronauti lo aveva congedato il primo giorno dicendogli: “Pensi a crescere in fretta”.
Stava proprio pensando a crescere quando arrivò a casa. Gabriele viveva solo, per questo non aveva bisogno di molto spazio, ma siccome non gli piacevano i monolocali, aveva diviso la cucina dal letto con una libreria sulla quale teneva la collezione completa de “La voce di Gagarin”.
Arrivò a casa e aspettò.
Ornella entrò ventisette secondi dopo, scusandosi per il ritardo. Per essere sicura di essere perdonata, gli domandò che ora fosse su Marte. Era un metodo che funzionava sempre. Gabriele consultò il suo orologio da polso con l'ora di tutto l'universo e con grande orgoglio rispose che su Marte era ieri alle tre meno cinque.
In quel momento, ora terrestre, suonò la postina Felicita. Gabriele aprì e ricevette un telegramma. Era un messaggio del capo che lo richiamava con urgenza al Centro Doppiaggio Astronauti, perché il doppiatore titolare si era macchiato in un corpo a corpo con la macchina del caffè, il vice era in ferie e quella sera era previsto il primo sbarco umano sulla Luna. Stop.
Felicita domandò se si trattasse di cattive notizie.
“No” rispose Gabriele “Al contrario: è un'ottima occasione per crescere”.
Si scusò con Ornella e le disse di non aspettarlo, raccomandò al pull-over di non infeltrirsi nell'ammollo, inforcò la bicicletta e partì.
Il Centro Doppiaggio Astronauti era in fermento. Mancava pochissimo all'allunaggio e i bicchieri di carta con l'aranciata non erano ancora pronti; colpa del litigio avvenuto nel pomeriggio tra la macchina del caffè e quella delle bibite per questioni di una spina doppia. Giovanni, il collega che era intervenuto per interporre i suoi buoni uffici, aveva ricevuto una spruzzata di cappuccino sulla camicia ed era dovuto correre a casa prima che asciugasse. La macchina del caffè, per attenuare il senso di colpa, ronzava tranquilla, distribuendo ottimi caffè, cioccolate e persino tramezzini, cosa che creava anche qualche problema coi sindacati.
Il capo era nervoso, molto nervoso e particolarmente cattivo. Guardava male l'interprete di inglese e doveva aver appena fatto una bella tirata all'addetto ai bip, visto che questi non alzava lo sguardo dal monitor e aveva le cuffie in testa tutte spettinate. Gabriele si sedette alla sua postazione di doppiatore, indossò le cuffie e schiacciò il bottone. Era emozionatissimo. Fino ad allora aveva sempre e soltanto doppiato astronauti in orbita e, per di più, in telecronaca registrata. Quella sera avrebbe invece parlato in diretta a milioni e milioni di telespettatori, imprestando la sua voce niente di meno che all'astronauta americano Braccetti, quello che per primo avrebbe posato il piede sulla Luna. Provò a indovinare quali frasi avrebbe potuto dire Braccetti, ma fu interrotto dall'addetto ai bip che disse: “bip”.
Era il segnale: iniziava la fase di allunaggio. Il capo si sedette sulla poltrona vicino a Gabriele e gli rivolse un'occhiata di totale sfiducia. Gabriele rispose con un sorriso timido; sapeva che doveva ancora crescere tanto. Di sicuro cresceva la tensione. Più il modulo lunare si abbassava, più l'addetto ai bip stonava i suoi “bip”. Ad un tratto si sentì la voce di Braccetti. L'interprete tradusse, Gabriele sudò.
“Mancano pochi metri” disse nel microfono a milioni e milioni di telespettatori.
Il capo annuì. Era fatta. Aveva detto le sue prime parole in diretta e le aveva dette bene. Si sentì crescere un po'.
“Bip” disse l'addetto ai bip.
Gabriele si concentrò. De Paoli, l'altro astronauta americano, parlò a sua volta, l'interprete tradusse e tutti fissarono Francescoli, il doppiatore anziano che imprestava la voce a De Paoli. Francescoli era una sicurezza per il Centro Doppiaggio Astronauti. Eppure anche Francescoli era emozionato; si capiva dal suo pallore, dall'occhio fisso e dal torace che non si alzava e abbassava secondo la respirazione.
“Francescoli!” tuonò il capo. Ma Francescoli proprio non respirava più e chissà da quanto tempo. Il capo in persona rimosse la salma e sostituì il defunto alla postazione. Si fece ripetere la traduzione dall'interprete di inglese.
“Mancano pochi metri” suggerì questi.
“Mancano pochi metri” ripeté il capo al microfono.
“Bip bip bip” disse l'addetto ai bip.
Poi fu di nuovo la voce di Braccetti a irrompere nella sala doppiaggio. L'interprete tradusse alla lettera: “Fa caldo oggi eh?”
Gabriele guardò il capo che scosse la testa incredulo e sconsolato, poi decise di improvvisare qualcosa di meno banale.
“Mancano pochi metri” disse.
Il capo fece OK con la mano. Gabriele si sentì crescere ancora.
“Bip” disse l'addetto ai bip.
D'un tratto si intromise la voce di Houston, che domandò quanti metri mancassero.
“Mancano pochi metri” dovette rispondere Gabriele doppiando Braccetti.
La sabbia della Luna, intanto, appariva sempre più vicina, grigio perla su fondo grigiastro.
Mancavano pochi metri all'allunaggio quando Houston domandò nuovamente quanti metri mancassero. Il capo fece un gesto volgarissimo con entrambe le mani, mentre Braccetti rispondeva, l'interprete traduceva e Gabriele doppiava:
“Mancano pochi metri”.
“Bip”
La navicella si posò sulla Luna e si arrestò.
“Bip bip bip bip bip” disse l'addetto ai bip preso dall'entusiasmo.
“Houston ci sentite?” dissero Braccetti e poi Gabriele.
Da Houston dissero che li sentivano forte e chiaro, ma che la smettessero di parlare che era ora di uscire.
“Bip?” osò l'addetto ai bip.
Braccetti disse che stava aprendo il portello e si preparava a scendere.
Gabriele capì e iniziò a trasmettere senza aspettare la traduzione da parte dell'interprete di inglese, il quale ebbe un gesto di stizza e guardò il capo affinché redarguisse il vice aiuto doppiatore. Ma il capo non gli badò.
Braccetti scese un gradino della scaletta a pioli del modulo lunare. Si fermò e domandò al compagno De Paoli quanto mancasse.
“Mancano pochi gradini” disse De Paoli prontamente doppiato dal capo.
“Bip”
“Houston domandò quanto mancava e Braccetti rispose che mancavano pochi gradini.
Da Roma, il giornalista della Rete nazionale domandò al Centro Doppiaggio quanto mancasse.
“Mancano pochi gradini” rispose Gabriele accorgendosi troppo tardi che in realtà Braccetti non aveva detto nulla. Ma andava tutto bene. Sui monitor, la discesa di Braccetti era maestosamente lenta. Mancavano pochi gradini: tre... due... uno...
“Bip!”
Silenzio.
Poi Braccetti disse alcune parole, le prime parole del primo uomo sulla Luna.
Si sentirono forte e chiaro, ma l'interprete non tradusse e si tolse le cuffie. Il capo lo guardò, la macchina del caffè lo guardò, Gabriele lo guardò. Forse l'interprete era ancora offeso per prima?
“E allora?” domandò l'addetto ai bip.
“Non posso” disse il traduttore con la disperazione aggrappata alle corde vocali.
“Traduci!” intimò il capo, eruttando lava dalle fauci.
Il traduttore si fece piccolo piccolo e riparandosi la testa con le braccia, parlò:
“Ha detto... Braccetti ha detto...”
“Cosa cazzo ha detto?” domandò il cadavere di Francescoli.
“Braccetti ha detto: merda, ho pestato una merda”
Il capo scoprì i denti enormi da licantropo e squadrò i suoi collaboratori, uno per uno, alla ricerca di una vittima. L'addetto ai bip emise un suono incomprensibile e si chinò sotto la consolle per allacciarsi le pantofole. La macchina del caffè cominciò a riordinare tutti i bicchierini di carta, l'interprete di inglese sfogliava convulsamente il suo dizionario ripetendo: “Ha proprio detto merda quello stupido, ha detto merda!”
Quelli delle onoranze funebri La Cattolica smisero di ricomporre il corpo di Francescoli.
Gabriele era al suo posto con le cuffie un po' storte sulla testa. Il capo incombeva si di lui con l'alito che sapeva di guarnizione bruciata. Il mondo intero aspettava.
Eppure, nonostante il terrore di cui era preda, Gabriele capì che quella era l'occasione per crescere e che non ne avrebbe avute altre. Si alzò in piedi e avvicinò il microfono alla bocca. Il capo si immobilizzò come un vampiro di fronte a una croce di aglio.
Gabriele premette il tasto per trasmettere in diretta.
Il capo afferrò la sua magnum 357. Era in piedi sulla poltroncina ed era salito così in alto che il neon sul soffitto gli rizzava i capelli, nonostante fosse pelato.
Allora Gabriele parlò.
Con tono calmo e solenne, improvvisò per Braccetti parole che sarebbero state udite da milioni e milioni di telespettatori.
“Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'umanità intera” disse.
La frase fece immediatamente il giro del mondo e qualcuno da Houston la suggerì a Braccetti che stava passeggiando sulla Luna con le mani in seconda, fingendo di aver perso il contatto.
Il capo baciò a lungo Gabriele, ringraziandolo a nome delle Telecomunicazioni Mondiali per la sua bella frase che nel frattempo era già stata scolpita su pezzetti di marmo e venduta ai turisti nelle piazze di tutto il mondo. Quelli della Cattolica uscirono dalla sala a braccetto con Francescoli, mentre l'interprete di inglese intratteneva l'addetto ai bip su alcuni aspetti del Contratto Nazionale di Lavoro Doppiatori.
Gabriele era cresciuto un po'.
A casa, Ornella, felice, piangeva.



Scritto nel lontanissimo 1988 e pubblicato nel 94 o 95 sull'agenda diario "Il Diventone" edita da Seven Spa






martedì 10 novembre 2015

007 Spectre

Avete mai avuto un cuginetto che a 7 anni suonava il piano come Mozart? O una vicina di casa che a 13 anni nuotava i 100 stile libero in 52"? Insomma, vi è chiaro il concetto di promessa?
Dopo 007 Skyfall, che aveva portato la qualità dei film di James Bond a livelli mai raggiunti prima, ci aspettavamo quantomeno un film onesto. Invece sullo schermo ci proiettano questa cacatella noiosa, lunga, assurda e inutile.
Ho intervistato Daniel Craig per voi. (Il dialogo originale era in inglese)
Orudis: Daniel, come mai sto film fa così cagare?
DC Non è vero! Piace molto.
Orudis: Fa cagare.
DC: Fa cagare, è vero ma non è colpa mia.
Orudis: ma un attore del suo livello non potrebbe dire al regista e agli sceneggiatori. "Ma siete coglioni?"
DC: No.
Orudis: Eppure certi passaggi sono assurdi, come quando lei e la ragazza scendete da un treno per consegnarvi nelle mani del cattivo, così gratuitamente.
DC: non ricordo...
Orudis: E Christoph Waltz, il cattivissimo... Com'è che nei film di Tarantino è un attore me-ra-vi-glio-so  e qui ti viene da prenderlo a ceffoni?
DC: Sarà perché il regista non è Tarantino?
Orudis:
Craig, lei ha letto il copione prima di accettare di girare?
DC: Sì, of course!
Orudis: e non ha visto che era banale, scritto da cani?
DC: Sì...
Orudis: E perché ha accettato?
DC: Perché c'erano un paio di scene in cui limonavo con Léa Seydoux. E' quella de "La vita di Adele", una delle due giovani lesbiche. Lei non avrebbe firmato?
Orudis: of course. Di corsa!







Il pianista oggi lavora in panetteria mentre la ragazzina fa interviste per Trenitalia.