giovedì 19 febbraio 2015

Bruco finto

Per fare il bruco finto servono due uova sode e 2 grani di pepe. Finito.

Indispensabile un piatto colorato. In mancanza va bene un coperchio rovesciato.

Certo, in stagione, se trovate un bruco vero da mettere in tavola è un'altra cosa.

martedì 17 febbraio 2015

Una bambina sbagliata

Per scrivere di amore e morte e risultare credibili, lo studio non basta, non basta il sentito dire e non basta massacrarsi di film. I fatti si possono inventare e le trame si immaginano. Le emozioni no. Per far soffrire, strappare una risata o costringere qualcuno a pensare occorre aver vissuto; le emozioni non si possono creare, al massimo si trasferiscono, e soltanto certi autori sono abilitati a infonderle nei lettori per via endovenosa.
Avendo letto in tre giorni “Una bambina sbagliata” e seguendo questo pensiero, mi chiedo che minchia di infanzia sia toccata all'autrice, Cynthia Collu. Già averle imposto un nome con “y e h”, (che lei per vendicarsi riversa sulla sua protagonista) può essere una risposta.
Galathea, la bambina sbagliata, cresce in un ambiente famigliare sotto vuoto, in una camera iperbarica nella quale è stato risucchiato via l'amore dei genitori. Si ritrova ad essere come un seme buttato nella terra e mai innaffiato, che deve accontentarsi della nebbia di Milano per germogliare e crescere.
Seguire la vita di Galathea è doloroso, ma non riesco a capire come si possa interrompere l'inseguimento. La sera nel letto, nella sala d'aspetto del medico, (l'età..) in auto (da fermo) mi sono sorpreso non tanto a leggere, quanto a fare il tifo per la bambina prima e la ragazza poi. Un tifo da stadio, quello sdegnato e ruggente della curva che urla contro le punizioni ingiuste.
Lo stile della Collu è piano. Mi piace. Avendo scritto un libro di emozioni e avendo a disposizione materia prima a vagoni, non ha bisogno di inventarsi punteggiature a cazzo o buttare lì frasi mozze per creare pathos (e dai con l'acca). Le basta mettere giù un po' della sua vita e io la ringrazio per averne condivisa un poco con me.

La verità, vi spiego, sull'amore

Per raccontare le emozioni è indispensabile conoscerle da vicino.
Per seminarle a ventaglio bisogna averne un sacco bello pieno.
Per essere credibili devono essere reali e perché penetrino a fondo devono essere sincere.
“La verità vi spiego sull'amore” è questo: una raccolta di emozioni condite con abbondanti spruzzate di sentimenti e immerse in una miscela densa di ironia e professione. Queste ultime sono le caratteristiche di Enrica Tesio, che si guadagna da vivere creando pensieri con la forma per farsi notare e frasi con la musica per farsi ricordare.

Con questi elementi, Enrica racconta in modo straordinario la sua storia, che potrebbe essere quella di molti o di tutti. Si concede spoglia di ogni pudore (come la pulzella di De Andrè) perché le viene naturale. In questo modo regala ai suoi personaggi uno spessore nuovo, come certe cartoline, che se le inclini rivelano sfaccettature insospettabili. Non tenendo nulla per sé, ciò che offre a chi legge è molto, è tutta se stessa. Aver letto il suo primo libro è stato un grande piacere e scrivere quella che forse è la prima recensione è un onore altrettanto grande.

sabato 14 febbraio 2015

La Ricerca del tempo perduto - Dalla parte di Swann

Per il bacio della buonanotte, che costituisce il drammatico incipit del libro, a Proust servono non meno di 40 di pagine, mentre i New Trolls esprimono a meraviglia lo stesso concetto in 4 minuti e 29 secondi. (vedi e senti qui: quella carezza della sera)
Per raccontare della zia ipocondriaca e rincoglionita e della sua governante Françoise, Marcel occupa una trentina di pagine. E quella comunque poi muore.
Non voglio parlare delle digressioni botaniche: stami, pistilli, petali e giardini per Proust sono una passione irresistibile. Perde le bave di fronte alle aiuole fiorite come io mi squaglierei ad un casting per la nuova campagna de “gli Intimissimi”. 
Per quanto riguarda le famose madeleine, modestamente, ho anch'io un'esperienza: mia mamma me le dava a colazione negli anni '70. Io le varavo nel tè, quelle beccheggiavano un po' ed ero lesto a tirarle su con il cucchiaino prima che gonfiassero troppo e affondassero. Punto.
Per cui, la “recherche” Primo volume, dalla parte di Swann, è un libro lento e prolisso. 
Ma non termina affatto con le madeleine. Se si ha la pazienza di arrivare alla fine della prima parte, si incontra M. Swann e, con lui, si finisce per sbattere contro se stessi. Impossibile non riconoscersi nei pensieri e nei sentimenti di M. Swann. I suoi errori con Odette sono i nostri, i miei. Io li commetterei (li ho commessi) tutti. Le sue debolezze sono le stesse mie, La sua paura di perdere Odette ha lo stesso tanfo della mia. La degradazione che lo convince a credere a qualunque menzogna, i pedinamenti, le trappole, le rimostranze, le flebili proteste e le assurde minacce con le quali tenta di trattenerla non sono nulla di nuovo. Le feci della gelosia in cui Swann si impantana sembrano rubate dal mio letamaio personale.
Se si è vissuto un po', tutto questo fa parte del bagaglio a mano che ci si porta appresso. Trovarselo scritto e stampato da Proust non attenua affatto l'emozione né la sofferenza, tanto che, leggendo, occorre pensare “ È solo un libro! È solo un libro!” per non cadere nella disperazione.
Per cui, la “recherche” Primo volume, dalla parte di Swann, è un libro lento e prolisso. Ma è anche un libro universale e, per questo, un capolavoro.

Nanowar of steel

Concerto Metal dei Nanowar of steel, ieri sera al Cafè Liber a Torino. Io c'ero.
No, non mi serviva un alibi. No, non sono stato affidato ai servizi sociali. No, non avevo biglietti gratis e purtroppo non dovevo punirmi per aver commesso atti impuri. 
Nella mia personale classifica dei gusti musicali, il metal viene prima della lirica albanese, ma molto dopo il folk delle Isole Tonga. Per dire.
Quindi? 
Perché sono stato due ore a subire pestoni e spallate da giovani fan del cazzo che facevano “head banging” davanti al palco? (Per chi non lo sapesse, l'”head banging” consiste: primo, nell'agitarsi, secondo, nell'agitarsi e, terzo, nell'agitare avanti e indietro la testa, in modo che i capelli rilascino forfora nell'aria. Questa rimane in sospensione, illuminata dai tagli di luce, e c'è chi passa a tirarla su col naso pensando che si tratti di altro).

Quindi? Succede che i pezzi dei Nanowar mi prendono tanto da farmi immergere, volontario e pagante, in quella bolgia. Meglio: ci sono tre canzoni che mi mandano. Inserisco di seguito i link di youtube sperando che funzionino. Ascoltateli un paio di volte e non ve li toglierete più dalla testa. Vi fanno schifo? Allora sentite bene i testi. Fanno vomitare lo stesso? Allora toglietemi la patria potestà dei tre figli (magari!)  e toglietemi pure dagli amici. Io ci trovo intelligenza e creatività. Che così tanta non se ne vede in giro. 
Se incontrate problemi tecnici nell'ascolto, ditemelo: ho comprato anche il CD e ve lo presto. :-)


mercoledì 11 febbraio 2015

Birdman

Il vantaggio di non essere mai stato a New York? Non esserci mai stato. Così la immagino come i film della mia vita mi hanno mostrato e insegnato. Da “Prigioniero della seconda strada” a “Kramer contro Kramer”, fino alla New York di Woody Allen, quella che preferivo. Uso l'imperfetto perché da oggi la mia NY è questa di Birdman e quindi del regista Alejandro González Iñárritu. Bravo!
Purtroppo, New York è la cosa migliore del film. Un po' poco, lo so. Infatti mi sto dissociando dai giudizi positivi di chi mi ha consigliato di correre a vederlo.
Perché? Perché è buona l'idea, ottimi gli attori, godibilissimi i dialoghi, ma il tutto è come il passato di verdura che faccio io: un insieme non amalgamato di verdure cotte poco.
Se è una commedia è troppo tragica e soprattutto si perde ottime occasioni per delle gag saporite. Se è un dramma ha ritmi troppo veloci e mi ha fatto sorridere troppe volte.
Ha un po' il problema che hanno gli ibridi: se va bene diventano la somma di valori importanti. Ma se va male gli ingredienti si sottraggono a vicenda i sapori. Ne viene fuori una zuppa bella ricca, che però non sa di niente.

venerdì 6 febbraio 2015

I pedoni di Rivarolo

I pedoni a Rivarolo Canavese arrivano alle rotonde e attraversano senza guardare. Nemmeno un flash con la coda dell'occhio per controllare se ti sei accorto di loro. Non si fidano, ti sfidano. Sembra che pensino: “Prova a sfiorarmi con il tuo cazzo di paraurti e ti appendiamo in Piazzale Loreto, tanti quanti siamo”. Infatti sono sempre a decine. 
A Rivarolo i pedoni pronti ad attraversare sono densi come politici ad un'inaugurazione. Si presentano in cortei, ma rigorosamente in fila indiana, uno dietro l'altro. Impegnano le strisce a intervalli tali per cui in auto non si passa. Una processione che nei giorni di mercato raggiunge il 3X2.
Riassumiamo: non ti guardano, non ti cagano, vanno lemmi lemmi e, se gli gira, si fermano proprio sulle strisce perché è nel loro diritto. Passano perché è loro diritto; ti fanno fermare perché è loro diritto. Vengono da tutto il Canavese per esercitare i loro diritti proprio a Rivarolo.
Qualcuno potrebbe obiettare: “E cosa dovrebbero fare per attraversare?”
Giusto. Si fa così: ci si avvicina alle strisce e ci si ferma prima di mettere un piede sulla carreggiata. Si guarda nella direzione da cui provengono i veicoli e si valuta la situazione. C'è una sola auto in arrivo? Le si fa capire che può passare, perché dovremmo farla fermare, far sprecare freni, carburante e frizione? Perché c'è Carlo Conti che ci aspetta in TV? 
Al contrario, c'è una colonna di veicoli tale che non si vede la fine? Allora si guarda verso il primo della fila e si accenna a passare. Quello rallenta o si ferma. A questo punto gli si rivolge un cenno di ringraziamento o un sorriso e ci si leva dai coglioni alla svelta.
Non è difficile e con un minimo di allenamento possono farcela tutti.
O il cenno con la manina o il sorriso, Entrambi no. Penserebbe che lo state prendendo per il culo.


martedì 3 febbraio 2015

Unbroken

Se cercate su www.libraccio.it non troverete il “Manuale su come girare un polpettone americano” ed. 1976, usato, perché l'unica copia l'ha comprata Angelina Jolie prima di girare Unbroken. Ha studiato e ha applicato il manuale alla perfezione. Se infatti andrete a vedere il film, non troverete un'invenzione che sia una, non un nuovo punto di vista, nessuna grafica innovativa, non un'idea narrativa... niente. È perfetto.
Qualcuno, però, deve aver strappato e usato pagina 98 de il “Manuale su come girare un polpettone americano”, ed. 1976, per farsi una canna. Peccato perché così Angelina non ha potuto studiare il capitolo in cui si raccomanda al regista di non girare scene in tempo reale. Ovvero, se una sequenza, nella realtà, dura, poniamo, 4 minuti, con il montaggio e opportuni tagli si può far durare 40 secondi o 20 o meno ancora. Ecco che, non conoscendo questo trucchetto, la Jolie, il naufragio del protagonista, che dura 45 giorni, la gira in 45 giorni e la monta in pellicola in modo che duri 45 giorni. Per questo nelle locandine del film si raccomanda di portare in sala vari cambi di biancheria e scegliere bene i vicini di poltrona.

Altro? Sì, all'inizio, quando si raccontano infanzia e adolescenza del protagonista, la Jolie infila una raffica di scene raccapriccianti. I genitori italiani sono rappresentati in modo imbarazzante: il padre del protagonista strappa per un niente alla madre del protagonista l'Oscar di merda per la peggior comparsa del millennio. Recitano da cani, ma anche perché sono diretti da cani e - scusate se scomodo i fratelli Coen, che hanno steso la sceneggiatura - gli fanno fare e dire cose da cani. Con il massimo rispetto verso i cani. Cari fratelli Coen, Joel ed Ethan, non è che l'avete usata voi pagina 98?

domenica 1 febbraio 2015

Caino

Non so quanto mi sia divertito. Anzi, lo so: poco. Dopo aver letto Caino sono anche poco più ateo di prima, poco più vecchio, poco più saggio e poco o pochissimo più stronzo, anche perché, modestamente, sto già messo bene per conto mio. Insomma, ci sono libri che, zitti zitti, hanno saputo infilarsi nelle smagliature della mia anima con maggior efficacia e hanno fatto più danni. O, almeno, mi hanno fatto riflettere, mi hanno intrattenuto piacevolmente o mi hanno imbrogliato o mi hanno fatto ridere o piangere.
"Caino" due pregi li ha. Uno: una trama decisamente originale. Due: la capacità di irritare il colon. Non per i contenuti, ma per la sciagurata scelta dell'autore di scrivere senza punteggiatura. Che cazzo di valore aggiunto è questo? Qualcuno lo sa? Quale valore artistico acquista un libro scritto tutto di seguito, dove i discorsi diretti sono segnalati da una maiuscola e null'altro? Che idea fighissima! Non ci aveva pensato nessuno! Ci voleva un premio Nobel come Saramago per arrivarci. Ma vaffanculo!
Per cui, a chi consiglio Caino? Sicuramente a qualche ateo che abbia finito il Sudoku e non abbia altro nella cesta in bagno. Invece, non lo consiglio certamente ai dislessici, non ai credenti perché potrebbero non gradire i calci in culo (metaforici) che Caino rifila a Dio. Non a chi ama i thriller, perché tensione zero, non a chi mi chiedesse un consiglio per un buon libro. Ah, dimenticavo, va da sé che non lo consiglio nemmeno ad Abele.

Consiglio, piuttosto, questo:I dieci comandamenti