venerdì 25 novembre 2016

Tre camere a Manhattan

Stava filando dritto verso la massima valutazione perché non meritava di meno. Ma, arrivato al finale, ha ceduto. Non è la prima volta che lo fa. Simenon racconta storie bellissime, dipinge malinconia e solitudine in modo superbo (molti lettori ci vanno a nozze con queste cose) inserisce degli specchi nelle pagine in modo che ciascuno ci trovi se stesso, ma verso la fine dei suoi libri smette di riflettere.
Così è ne “La casa sul canale” e ne “La Marie del porto” dove le rispettive protagoniste quando mancano poche pagine al retro copertina prendono decisioni incomprensibili, prive di coerenza. Qui è un po' diverso. In “Tre camere a Manhattan” François più che altro difetta di logica. Non ragiona: sda.
Attenzione. Sto parlando di un romanzo che mi è piaciuto tantissimo, di quelli che mentre li leggi la sera ti dici: “ma che bello!” e la pagina dopo lo ripeti: "che bello! che bello!" finché una voce dall'altra parte del letto protesta: "basta, domani si lavora! Qui vogliamo dormire!"
L'ambientazione, così lontana dalle nebbie europee, dai bar nei porti, dalle chiatte che risalgono i fiumi, non fa rimpiangere nulla dei Simenon classici. La quinta strada, percorsa e attraversata mille volte, è l'alterego di certe camere di altri romanzi. Ciò che manca è un finale semplice e verosimile.
Ecco, sembra che Simenon conduca i suoi personaggi fino al penultimo capitolo, poi si fermi e li lasci finire da Bob Dylan pensando che magari questi faccia cose sensate. Lo stesso errore che fece mio cugino quando mi insegnò ad andare in bici, Mi teneva per la sella e poi ad un trattò mi lanciò nella vita. E ancora adesso la gente mi chiede perché nelle foto di quell'epoca non abbia i denti.

martedì 8 novembre 2016

La regola dell'amico

Dico subito che è andata malissimo.
Sale sulla Panda e la prima cosa che dice è:
- La barba ti sta male -
Cioè, questo non mi vede da un anno, la macchina con cui si viaggia, come sempre è la mia e la prima cosa che mi dice è “la barba ti sta male”? A parte che non mi sta male, vorrei sapere: ma sono l'unico ad avere un amico immaginario stronzo?
Per tutta la risalita in auto, invece di chiacchierare, si lamenta perché pensava di attaccare il suo i-pod all'impianto della Panda ma è così vecchio che al massimo accetta nastri. Poiché non riesce a sentire quello che vuole, ogni tanto canticchia. Sta attraversando un periodo revival perché continua a nominare e canticchiare Max Pezzali. Va beh, arriviamo a Forzo e scendiamo.
Il sole, il cielo e i colori del vallone fanno dimenticare l'inizio difficile. Anche la temperatura è mite. Fino a Boschietto parliamo poco perché il sentiero è stretto, non si riesce a camminare affiancati. E io sul momento non mi rendo conto che è una grande fortuna, perché appena finisce lo strappo si mette a cantare:
- … Quasi esplodo quando mi dici dai: vieni su da me che tanto non ci sono i miei, io mi fermo a prendere una bottiglia perché voglio festeggiare questa figata con te anche se...”-
All'inizio rido, ma poiché la canta tutta non rido più.
Per fortuna dopo Boschettiera ricomincia la salita secca e il fiato gli serve per altre cose.
Appena fuori dal bosco, nel piano di Lavina, ci aspetta un vento polare che ci fa a fettine. Attraversiamo il lungo tratto in falsopiano, tra pietre ed erba secca. Ogni tanto sento qualche strofa che riconosco “È un po' come nel calcio: è la dura legge del gol”. Per fortuna il sentiero si impenna dopo un alpeggio e lui smette. Invece il vento rinforza e si raffredda ulteriormente. Siamo un bel po' sotto zero. Ci mettiamo addosso tutto quel che abbiamo e in quel momento, rovistando nello zaino per prendere la giaccavento, l'amico immaginario si accorge e mi comunica di aver dimenticato il sacco coi panini.
- Problemino - dico io.
- Dividiamo quel che c'è. - dice lui.
- Dovrei dirlo io. - ribatto.
- Dillo tu. -
Sono senza parole. Ha ragione lui, naturalmente, si divide quel che c'è, ma mi rompe il cazzo. È sempre così. Ogni volta! Dividerei con una marmotta se solo potessi, darei tutto ai camosci, ma le marmotte sono in letargo e i camosci latitano. Comunque è presto per mangiare, saliamo ancora. Dovremmo arrivare al bivacco Davito, ma la vedo male: ghiaccio e neve sul sentiero nei versanti all'ombra, freddo porco, vento, gambe molli e lui che canta.
Attraversiamo un ruscello e ci fermiamo a ragionare.
- Che facciamo? - domando.
- Decidi tu. - Dice.
- Ok, andiamo avanti fino a mezzogiorno, se per quell'ora siamo al Davito bene, se no mangiamo dove siamo e torniamo giù. -
- No, preferisco mangiare già a Boschettiera. - dice lui.
- Allora perché mi dici decidi tu? -
Lui risponde con un'altra domanda:
- Perché hai un cerotto in faccia? -
Al che mi girano proprio tanto.
- Perché? Mi sta male? -
Si riparte, ma arrivati ad un alpeggio a quota 2030 decidiamo che ci basta così. Mancherebbe una
mezz'ora al Davito, ma con il ghiaccio che c'è in terra, cadere è un attimo. Cioè se cade lui... ma se cado e mi faccio male io sono cazzi. Dietro front.
In un'ora e un quarto siamo in salvo a Boschettiera dove occupiamo abusivamente il giardino di una delle bellissime baite rimesse a posto. Dividiamo la bellezza di due panini e una scatoletta di Insalatissima Rio mare, poi lui si ficca gli auricolari chiude gli occhi e sparisce nei suoi ascolti. Tra l'altro il volume è altissimo e sento tutto.
- Io non capisco che gli fai, quando arrivi in mezzo a noi. Tutti i miei amici si dileguano... - dice Pezzali e io penso a quanto sia vero se riferito all'amico immaginario.
- La regola dell'amico non sbaglia mai -
Anche questa è sacrosanta: la regola dell'amico immaginario è: scrocca benzina, scrocca pranzo, scrocca tutto.
Dopo un po' apre gli occhi, vede che ho aperto il libro che mi sono portato dietro (tra l'altro devo girare le pagine con i guanti di pail che fa freddissimo) e mi fa:
- Che fai, leggi? -
- Non devo? Il libro mi sta male? -
- No, ma se leggi non possiamo parlare. -
- Spegni quel cazzo di i-pod allora se vuoi parlare. -
- Non ti piace Pezzali? -
- … -
- Non so mica perché ti voglio bene. - dice.
- Perché sai che ho il thermos con il caffè caldo, ecco perché - Lo penso ma non lo dico.
Sta aspettando solo quello. Ha mangiato il mio panino con l'insalata russa e ben più di metà della mia Insalatissima farro riso e tonno e adesso giustamente aspetta il caffè.
È caldo perché l'ho versato bollente questa mattina. Non ha il coraggio di chiedere, il faccia di merda sa che lo porto sempre e infatti mi tiene d'occhio, guarda il mio zaino. Si domanda perché non lo caccio fuori.
E io che faccio? Rinuncio al calore, alla carica e al piacere del caffè pur di dargli un dispiacere. Ecco che faccio.
- Andiamo? - gli chiedo.
Mi guarda deluso, poi, rassegnato, fa sì con la testa. È proprio abbattuto, infreddolito. Vorrebbe il caffè.
Dio quanto godo!
Scendiamo.
- Come mai, ma chi sarai? Per fare questo a me? Notti intere ad aspettarti, ad aspettare te...-
Arriviamo alla Panda e poi giù lungo la valle.
Mi fermo per farlo scendere. Non mi aspetto che mi offra qualcosa per la benzina e infatti non lo fa. Ci salutiamo.
Riparto. Il bilancio della gita è magro: meta non raggiunta, animali avvistati zero, mangiato pochissimo, preso tantissimo freddo e ho i coglioni fracassati.
Mi vien da dire che la prossima volta piuttosto andrò da solo, ma so già che ci ricascherò.