Cesena, stazione di Cesena. |
Il Simenon che non ti aspetti. O
meglio, un finale che va contro tutto quello a cui mi ha
abituato. Mi rendo conto che è impresa assai ardua trattare del
finale senza poterne dire nulla per non rovinare la lettura a chi dovesse
ancora leggerlo. Allora, sebbene il finale sia la cosa più
interessante, parlerò dell'incipit. È uno dei romanzi del periodo
americano. Non lo sapevo e appena me ne sono accorto, cioè alla
prima pagina, mi è preso un senso di scoraggiamento, perché le
ambientazioni che amo di più sono quelle nebbiose, hanno almeno un
canale nelle vicinanze, un caffè aperto di notte, un porto, un bretone e qualche
battello. O un treno. In questo caso no. Come in Tre camere a
Manhattan, la scena si apre a New York, ma si lascia subito la città
per uno di quei viaggi disperati, come solo i viaggi con Simenon alla
guida possono essere. E allora, anche se si attraversano il New
Hampshire e il Maine non si sente la nostalgia della Normandia o della
Costa Azzurra. “Luci rosse” diventa l'ennesima opera riuscita di
Simenon, un autista pilota che non chiede passaporto. Per entrare in
questa, così come nelle altre storie che racconta, basta presentarsi
all'imbarco disarmati e pronti a viaggiare: con lui e dentro noi
stessi.
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