sabato 17 giugno 2017

Luci rosse

Cesena, stazione di Cesena.
Il Simenon che non ti aspetti. O meglio, un finale che va contro tutto quello a cui mi ha abituato. Mi rendo conto che è impresa assai ardua trattare del finale senza poterne dire nulla per non rovinare la lettura a chi dovesse ancora leggerlo. Allora, sebbene il finale sia la cosa più interessante, parlerò dell'incipit. È uno dei romanzi del periodo americano. Non lo sapevo e appena me ne sono accorto, cioè alla prima pagina, mi è preso un senso di scoraggiamento, perché le ambientazioni che amo di più sono quelle nebbiose, hanno almeno un canale nelle vicinanze, un caffè aperto di notte, un porto, un bretone e qualche battello. O un treno. In questo caso no. Come in Tre camere a Manhattan, la scena si apre a New York, ma si lascia subito la città per uno di quei viaggi disperati, come solo i viaggi con Simenon alla guida possono essere. E allora, anche se si attraversano il New Hampshire e il Maine non si sente la nostalgia della Normandia o della Costa Azzurra. “Luci rosse” diventa l'ennesima opera riuscita di Simenon, un autista pilota che non chiede passaporto. Per entrare in questa, così come nelle altre storie che racconta, basta presentarsi all'imbarco disarmati e pronti a viaggiare: con lui e dentro noi stessi.

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