sabato 26 dicembre 2015

Star Wars episodio 7


Sareste capaci di dire che vostro figlio è il peggiore della squadra in cui gioca, che vostro padre è omosessuale e che la mamma è una puttana e batte sulla 460? Ecco, ci sono delle cose che non si possono dire, perché sono di famiglia. Quindi non si può parlare male di Star Wars episodio 7 anche se sembra una troiata, perché fa parte del patrimonio culturale della famiglia.
Però hanno avuto dieci anni e più per scrivere la sceneggiatura, hanno speso dei bei soldi e poi, durante una battaglia spaziale, il capo pilota dei buoni avverte via radio tutti gli altri equipaggi con una frase come “attenti alla contraerea”? Attenti alla contraerea???? Ma attenti alla contraerea lo diceva D'Annunzio al pilota del biplano mentre buttava volantini su Vienna! Ma dai!
E poi, non ti puoi inventare una trama nuova? Devi per forza replicare l'attacco alla Morte Nera (che era molto più fica di questa)? E c'era bisogno di rubare ad altre saghe personaggi come Piton e Voldemort? Se andate a vedere a vedere il film li trovate entrambi in splendida forma.
No, cazzo, non si può parlar male di Star Wars episodio 7, ma affermo con forza che i miei figli 1, 2 e 3 quando giocavano a calcio facevano davvero cagare.

venerdì 25 dicembre 2015

8 dicembre

Ho approfittato del ponte per dare il bianco nella stanza di Figlio 1. Ieri ho preparato tutto, stamattina ho iniziato. Tempo mezzora e l'amico immaginario, che non vedevo da un po',si è presentato in tuta bianca per dare una mano. Arriva sempre quando faccio qualcosa da solo.
Pennello lui, pennello io, l'idea era di fare abbastanza in fretta. Tuttavia la camera è sotto il tetto, il soffitto è spiovente e l'armadio non si può spostare più di tanto. Insomma è faticoso.
Quasi subito, le campane della chiesa cominciano un concerto, decisamente più festoso del solito.
- L'Immacolata - sorride lui, anticipando la mia battuta che sarebbe stata: “Che abbiano segato Renzi e la Boschi?”. Invece mi tocca ribattere: - L'8 dicembre. -
- L'immacolata concezione. - corregge lui.
- È festa. - dico io. Non mi va di lasciargli l'ultima parola su questi argomenti perché sono antipatico, dispettoso e perché non mi va.
- È la festa con cui tutti glorifichiamo la verginità della madre di nostro Signore. - specifica.
A volte mi chiedo perché mi sia toccato un amico immaginario come questo, che quando parla è così preso ad assumere espressioni estatiche, che smette di lavorare.
- Sarebbe lo Spirito Santo che... - dico io.
- Sì. - conferma lui. - Il concepimento senza peccato. L'esempio. -
- E tu ci credi. - dico. Non domando: affermo.
- Certo. Non si spiegherebbe altrimenti la Sua Maternità, se non con un intervento Divino. Maria è semprevergine. -
La risposta esatta sarebbe “Ma tu che cazzo ne sai?”, ma forse potrei spiegarglielo scientificamente, potrei dirgli che sta cosa non sta in piedi. Per esempio, se una ragazza in età fertile, vergine quanto vuoi, entrasse a casa nostra, con tutti i maschi che siamo, potrebbe benissimo uscire ancora vergine e pure incinta. Le basterebbe andare in bagno sfiorando il bidet, l'asse del water, l'asciugamano delle mani, quello dei piedi, della faccia, un accappatoio a caso, le piastrelle, la doccia, le spugne, una maniglia, il termosifone, le presine delle pentole, i calzini, lenzuola, pigiami, magliette, abat jour, tastiera del computer, gelatina, tirami su e fegato in frigo, Scottex Casa...
- Ma poi. - invece questo glielo dico davvero - Che cosa c'è di non immacolato in un concepimento non divino? -
- Niente. - risponde lui - Se due sposi uniti sotto Cristo si uniscono in una sola carne, questo atto è benedetto dal Signore. -
È il mio caso di tanti anni fa, ma non mi va di essere benedetto, come dirglielo?
Glielo dico così: - Quindi io che ho Figlio 1 emigrato in Portogallo, Figlio 2 devoto a Satana e Figlio 3 stupefacentemente sempre fuori casa, sarei stato benedetto? Pensa se Gesù mi avesse mandato a fanculo! -
In questi casi, l'Amico immaginario scuote la testa e mi lascia fare. So che dentro di sé mi assolve perché non so quel che dico. E io mi incazzo ancora di più.
E poi, l'amico immaginario mi aiuterà anche, ma alla fine della prima mano, le spalle mi fanno male e le braccia mi tremano come se avessi fatto tutto da solo. E mi tocca pure invitarlo a pranzo!

Punta di Praghetta

A fare gite lunghe e faticose come questa (1300 m di dislivello) da soli c'è da uscire di testa. Per questo ho chiesto all'amico immaginario di accompagnarmi. Era da un po' che non facevamo gite insieme, da quando abbiamo litigato per il caffè. Oggi, quando ho tirato fuori il thermos dallo zaino e mi sono ricordato solo in quel momento che lui lo beve solo nero e io invece l'avevo di nuovo preparato con il latte, mi sono sentito un idiota e stavo per scusarmi. Ma lui ha tirato fuori un suo thermos con il caffè. Novità assoluta. Siccome era tradizione che io offrissi il caffè e lui il dolcino, ho pensato: “non avrà portato un dolcino per me e mi sta bene”. Sbagliavo di nuovo: ha tirato fuori due girelle al cioccolato e me ne ha data una. Tuttavia oggi abbiamo discusso di altro. Ho notato che ha sempre delle monete da 50 centesimi in tasca. Sempre! E io so perché. Perché ogni volta che incontra un mendicante, una zingara, un poveraccio, lui gli allunga una moneta. Oggi gliel'ho fatto notare e lui ha tirato fuori la storia di Gesù. “Ho sempre paura che sia Gesù travestito” mi ha confessato.
“Gesù?” gli ho domandato. Lui mi ha ricordato la storia di San Martino, quello dell'estate, che diede metà del suo mantello a un poveraccio infreddolito (che era Gesù travestito) e Gesù lo ricompensò con la faccenda che sappiamo. Ha questa ossessione. “E se poi fosse Gesù?” mi dice.
Al che gli dico che secondo me lui compie gesti nobili, ma si preoccupa per niente, perché Gesù non esiste. Cioè, Dio non esiste di sicuro, per cui anche Gesù mi sembra poco probabile.
“Tu non credi?” mi ha chiesto e sembrava lo scoprisse in quel momento.
“Zero,”
“Non credi in niente?”
“In nessuna deità, di sicuro, e non nella vita dopo la morte.”
“Non si può non credere” ha quasi urlato e intanto col braccio mi mostrava il panorama, la valle e tutto quanto. A parte il fatto che la valle l'ha scavata il ghiacciaio e non Dio con la paletta, mi davano fastidio le sue parole.
“Si può, sì!” ho ribadito.
“Tu credi e non lo sai. Pensi di non credere.”
Al che sono un po' sbottato: “Ma evolviti!” gli ho detto. “Sono argomenti che tirano fuori le compagne bigotte alle medie. I pokemon sono più avanti di te!”
È finita che si è offeso. Molto. Ma ormai la girella me l'aveva data.

Frollini e caffè

L'Amico Immaginario di solito porta due dolcetti e io il caffè caldo. A lui piace nero. Io invece lo bevo solo macchiato. Così lo porto che sembra caffelatte. (Non posso portare il latte a parte perché il latte raffredderebbe il caffè, mi spiego? A casa invece verso nel thermos caffè e latte bollenti.)
Ieri, al bivacco Borroz, in Clavalitè, s'è incazzato quando ha visto che era di nuovo macchiato. Si è inalberato un po' troppo in fretta. Secondo me ci pensava già da un po' e si era già costruito la litigata nella sua testa. Morale: non mi ha dato uno dei due dolcetti che aveva portato e mi ha detto di bermelo tutto il mio caffè che non ne aveva voglia. Morale 2: all'interno del bivacco Borroz (bellissimo, tenuto benissimo, confortevolissimo) c'era un pacco di frollini, per di più senza olio di palma. Ne ho inzuppati due o tre nel caffè macchiato, davanti a lui, godendo come un ermellino in calore. Nella foto ho dovuto nascondere la mia soddisfazione per non far degenerare la cosa. La piccola scaramuccia è poi rientrata e se mi ci sono dilungato è solo perché sulla gita non c'è molto altro da dire.

martedì 1 dicembre 2015

The Visit


Nella lista di film che mi porterò in paradiso per non annoiarmi ci sono “Vacanze romane” “Operazione sottoveste” “Blade runner” “Pulp fiction” “Blues brothers” un paio di porno nel caso in cui la chiavetta UMTS di Vodafone non prendesse e, certamente, “Il sesto senso” di Night Shyamalan. Anzi, “Il sesto senso” è nella mia top five. Forse era addirittura al primo posto fino a un mese fa quando è stato sostituito da “Dio esiste e vive a Bruxelles”.
Perché mi piace così tanto “Il sesto senso”? Perché è genio puro. Per questo ieri sono andato a vedere il nuovo film di Shyamalan, “The Visit”. Purtroppo “The Visit” non entra nella lista di dvd da portare in paradiso. Al massimo posso consigliarlo al San Pietro di caffè Lavazza e solo perché mi sta sulle palle.
Non che “the Visit” sia fatto male, al contrario, ma non è l'horror che mi aspettavo da Shyamalan. Mi ha deluso la semplicità della storia. Non è minimamente cervellotico. Il colpo di scena c'è anche qui, ma mentre nel “Sesto senso” ti rovescia dalla sedia, qui al massimo ti cambia il punto di vista.

Chi non mi delude mai è il pubblico delle sale canavesane. Anni fa mi lamentavo dei truzzi in sala. Peggio dei truzzi ci sono i pensionati piemontesi. Commentano. Ieri ne avevo 4 nella fila dietro la mia. Il film inizia con un paesaggio pieno di neve, e da dietro senti “ah, che bela la fioca” (che bella la neve). Dopo poco “O già A sun in America” (Per forza, sono in America) e l'altro giustamente: “an belesì a fioca pi nen” (qui non nevica più) e via così. Notare che i titoli di testa sono finiti da un pezzo. Il film è in pieno svolgimento. Ed è un horror, cazzo! E quelli continuano. Ormai ho un'età in cui posso anche rischiare di morire, quindi mi volto per mettere in chiaro che anche un paese come Valperga potrebbe avere il suo Bataclan. Non li sento più per tutto il film e non capisco come mai. Non sono certo le mie minacce, perché non faccio paura a nessuno. Non è il film, poiché fa meno paura di me. Quindi? Mi piace pensare che si siano addormentati. E spero per sempre.

martedì 17 novembre 2015

Dio esiste e vive a Bruxelles

Se avessi scritto questo commento il giorno dopo aver visto il film, sull'onda dell'emozione, avrei detto che è forse il più bel film che abbia mai visto. Oggi, a una settimana di distanza, recuperata lucidità e oggettività, posso affermare che “Dio esiste e abita a Bruxelles” è il più bel film che abbia mai visto. Il “forse” della prima frase l'ho perso nei giorni seguenti, quando scene, idee, parole e immagini continuavano a venirmi su, come i peperoni alla bagna caoda. I miei figli 2 e 3, che erano con me, hanno il mio stesso alito. Dare il massimo dei voti richiede qualche argomentazione. Io non me la sento tanto. Non so nemmeno dire a quale genere appartenga. È una commedia? Forse, nella misura in cui una canzone di De André può essere considerata una canzonetta. È un dramma? Proprio no, anche se questo film parla soprattutto di morte. Facciamo così. Mi spendo un credito, sempre che in anni di commenti ne abbia accumulato qualcuno. Vi dico fidatevi e andate a vederlo quando uscirà nelle sale il 26 novembre. Purtroppo sarete un po' prevenuti se avrete letto queste righe e quindi probabilmente non lo troverete il film più bello che abbiate mai visto, ma non importa, perché sotto sotto, senza che voi ve ne accorgiate, lui lavorerà in background e vi farà svegliare con i peperoni nello stomaco. Fidatevi.

domenica 15 novembre 2015

Luna

Gabriele tornava a casa stanco, ma molto fiero del suo nuovo lavoro di aiuto doppiatore di astronauti, una di quelle professioni che prima di una certa data non esisteva, ma che ora, invece, andava per la maggiore. Era ancora più fiero di aver ottenuto il posto senza raccomandazioni. Aveva risposto ad un annuncio apparso sul giornale. Tutto qui.
E adesso cresceva, perché il capo, al Centro Doppiaggio Astronauti lo aveva congedato il primo giorno dicendogli: “Pensi a crescere in fretta”.
Stava proprio pensando a crescere quando arrivò a casa. Gabriele viveva solo, per questo non aveva bisogno di molto spazio, ma siccome non gli piacevano i monolocali, aveva diviso la cucina dal letto con una libreria sulla quale teneva la collezione completa de “La voce di Gagarin”.
Arrivò a casa e aspettò.
Ornella entrò ventisette secondi dopo, scusandosi per il ritardo. Per essere sicura di essere perdonata, gli domandò che ora fosse su Marte. Era un metodo che funzionava sempre. Gabriele consultò il suo orologio da polso con l'ora di tutto l'universo e con grande orgoglio rispose che su Marte era ieri alle tre meno cinque.
In quel momento, ora terrestre, suonò la postina Felicita. Gabriele aprì e ricevette un telegramma. Era un messaggio del capo che lo richiamava con urgenza al Centro Doppiaggio Astronauti, perché il doppiatore titolare si era macchiato in un corpo a corpo con la macchina del caffè, il vice era in ferie e quella sera era previsto il primo sbarco umano sulla Luna. Stop.
Felicita domandò se si trattasse di cattive notizie.
“No” rispose Gabriele “Al contrario: è un'ottima occasione per crescere”.
Si scusò con Ornella e le disse di non aspettarlo, raccomandò al pull-over di non infeltrirsi nell'ammollo, inforcò la bicicletta e partì.
Il Centro Doppiaggio Astronauti era in fermento. Mancava pochissimo all'allunaggio e i bicchieri di carta con l'aranciata non erano ancora pronti; colpa del litigio avvenuto nel pomeriggio tra la macchina del caffè e quella delle bibite per questioni di una spina doppia. Giovanni, il collega che era intervenuto per interporre i suoi buoni uffici, aveva ricevuto una spruzzata di cappuccino sulla camicia ed era dovuto correre a casa prima che asciugasse. La macchina del caffè, per attenuare il senso di colpa, ronzava tranquilla, distribuendo ottimi caffè, cioccolate e persino tramezzini, cosa che creava anche qualche problema coi sindacati.
Il capo era nervoso, molto nervoso e particolarmente cattivo. Guardava male l'interprete di inglese e doveva aver appena fatto una bella tirata all'addetto ai bip, visto che questi non alzava lo sguardo dal monitor e aveva le cuffie in testa tutte spettinate. Gabriele si sedette alla sua postazione di doppiatore, indossò le cuffie e schiacciò il bottone. Era emozionatissimo. Fino ad allora aveva sempre e soltanto doppiato astronauti in orbita e, per di più, in telecronaca registrata. Quella sera avrebbe invece parlato in diretta a milioni e milioni di telespettatori, imprestando la sua voce niente di meno che all'astronauta americano Braccetti, quello che per primo avrebbe posato il piede sulla Luna. Provò a indovinare quali frasi avrebbe potuto dire Braccetti, ma fu interrotto dall'addetto ai bip che disse: “bip”.
Era il segnale: iniziava la fase di allunaggio. Il capo si sedette sulla poltrona vicino a Gabriele e gli rivolse un'occhiata di totale sfiducia. Gabriele rispose con un sorriso timido; sapeva che doveva ancora crescere tanto. Di sicuro cresceva la tensione. Più il modulo lunare si abbassava, più l'addetto ai bip stonava i suoi “bip”. Ad un tratto si sentì la voce di Braccetti. L'interprete tradusse, Gabriele sudò.
“Mancano pochi metri” disse nel microfono a milioni e milioni di telespettatori.
Il capo annuì. Era fatta. Aveva detto le sue prime parole in diretta e le aveva dette bene. Si sentì crescere un po'.
“Bip” disse l'addetto ai bip.
Gabriele si concentrò. De Paoli, l'altro astronauta americano, parlò a sua volta, l'interprete tradusse e tutti fissarono Francescoli, il doppiatore anziano che imprestava la voce a De Paoli. Francescoli era una sicurezza per il Centro Doppiaggio Astronauti. Eppure anche Francescoli era emozionato; si capiva dal suo pallore, dall'occhio fisso e dal torace che non si alzava e abbassava secondo la respirazione.
“Francescoli!” tuonò il capo. Ma Francescoli proprio non respirava più e chissà da quanto tempo. Il capo in persona rimosse la salma e sostituì il defunto alla postazione. Si fece ripetere la traduzione dall'interprete di inglese.
“Mancano pochi metri” suggerì questi.
“Mancano pochi metri” ripeté il capo al microfono.
“Bip bip bip” disse l'addetto ai bip.
Poi fu di nuovo la voce di Braccetti a irrompere nella sala doppiaggio. L'interprete tradusse alla lettera: “Fa caldo oggi eh?”
Gabriele guardò il capo che scosse la testa incredulo e sconsolato, poi decise di improvvisare qualcosa di meno banale.
“Mancano pochi metri” disse.
Il capo fece OK con la mano. Gabriele si sentì crescere ancora.
“Bip” disse l'addetto ai bip.
D'un tratto si intromise la voce di Houston, che domandò quanti metri mancassero.
“Mancano pochi metri” dovette rispondere Gabriele doppiando Braccetti.
La sabbia della Luna, intanto, appariva sempre più vicina, grigio perla su fondo grigiastro.
Mancavano pochi metri all'allunaggio quando Houston domandò nuovamente quanti metri mancassero. Il capo fece un gesto volgarissimo con entrambe le mani, mentre Braccetti rispondeva, l'interprete traduceva e Gabriele doppiava:
“Mancano pochi metri”.
“Bip”
La navicella si posò sulla Luna e si arrestò.
“Bip bip bip bip bip” disse l'addetto ai bip preso dall'entusiasmo.
“Houston ci sentite?” dissero Braccetti e poi Gabriele.
Da Houston dissero che li sentivano forte e chiaro, ma che la smettessero di parlare che era ora di uscire.
“Bip?” osò l'addetto ai bip.
Braccetti disse che stava aprendo il portello e si preparava a scendere.
Gabriele capì e iniziò a trasmettere senza aspettare la traduzione da parte dell'interprete di inglese, il quale ebbe un gesto di stizza e guardò il capo affinché redarguisse il vice aiuto doppiatore. Ma il capo non gli badò.
Braccetti scese un gradino della scaletta a pioli del modulo lunare. Si fermò e domandò al compagno De Paoli quanto mancasse.
“Mancano pochi gradini” disse De Paoli prontamente doppiato dal capo.
“Bip”
“Houston domandò quanto mancava e Braccetti rispose che mancavano pochi gradini.
Da Roma, il giornalista della Rete nazionale domandò al Centro Doppiaggio quanto mancasse.
“Mancano pochi gradini” rispose Gabriele accorgendosi troppo tardi che in realtà Braccetti non aveva detto nulla. Ma andava tutto bene. Sui monitor, la discesa di Braccetti era maestosamente lenta. Mancavano pochi gradini: tre... due... uno...
“Bip!”
Silenzio.
Poi Braccetti disse alcune parole, le prime parole del primo uomo sulla Luna.
Si sentirono forte e chiaro, ma l'interprete non tradusse e si tolse le cuffie. Il capo lo guardò, la macchina del caffè lo guardò, Gabriele lo guardò. Forse l'interprete era ancora offeso per prima?
“E allora?” domandò l'addetto ai bip.
“Non posso” disse il traduttore con la disperazione aggrappata alle corde vocali.
“Traduci!” intimò il capo, eruttando lava dalle fauci.
Il traduttore si fece piccolo piccolo e riparandosi la testa con le braccia, parlò:
“Ha detto... Braccetti ha detto...”
“Cosa cazzo ha detto?” domandò il cadavere di Francescoli.
“Braccetti ha detto: merda, ho pestato una merda”
Il capo scoprì i denti enormi da licantropo e squadrò i suoi collaboratori, uno per uno, alla ricerca di una vittima. L'addetto ai bip emise un suono incomprensibile e si chinò sotto la consolle per allacciarsi le pantofole. La macchina del caffè cominciò a riordinare tutti i bicchierini di carta, l'interprete di inglese sfogliava convulsamente il suo dizionario ripetendo: “Ha proprio detto merda quello stupido, ha detto merda!”
Quelli delle onoranze funebri La Cattolica smisero di ricomporre il corpo di Francescoli.
Gabriele era al suo posto con le cuffie un po' storte sulla testa. Il capo incombeva si di lui con l'alito che sapeva di guarnizione bruciata. Il mondo intero aspettava.
Eppure, nonostante il terrore di cui era preda, Gabriele capì che quella era l'occasione per crescere e che non ne avrebbe avute altre. Si alzò in piedi e avvicinò il microfono alla bocca. Il capo si immobilizzò come un vampiro di fronte a una croce di aglio.
Gabriele premette il tasto per trasmettere in diretta.
Il capo afferrò la sua magnum 357. Era in piedi sulla poltroncina ed era salito così in alto che il neon sul soffitto gli rizzava i capelli, nonostante fosse pelato.
Allora Gabriele parlò.
Con tono calmo e solenne, improvvisò per Braccetti parole che sarebbero state udite da milioni e milioni di telespettatori.
“Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'umanità intera” disse.
La frase fece immediatamente il giro del mondo e qualcuno da Houston la suggerì a Braccetti che stava passeggiando sulla Luna con le mani in seconda, fingendo di aver perso il contatto.
Il capo baciò a lungo Gabriele, ringraziandolo a nome delle Telecomunicazioni Mondiali per la sua bella frase che nel frattempo era già stata scolpita su pezzetti di marmo e venduta ai turisti nelle piazze di tutto il mondo. Quelli della Cattolica uscirono dalla sala a braccetto con Francescoli, mentre l'interprete di inglese intratteneva l'addetto ai bip su alcuni aspetti del Contratto Nazionale di Lavoro Doppiatori.
Gabriele era cresciuto un po'.
A casa, Ornella, felice, piangeva.



Scritto nel lontanissimo 1988 e pubblicato nel 94 o 95 sull'agenda diario "Il Diventone" edita da Seven Spa






martedì 10 novembre 2015

007 Spectre

Avete mai avuto un cuginetto che a 7 anni suonava il piano come Mozart? O una vicina di casa che a 13 anni nuotava i 100 stile libero in 52"? Insomma, vi è chiaro il concetto di promessa?
Dopo 007 Skyfall, che aveva portato la qualità dei film di James Bond a livelli mai raggiunti prima, ci aspettavamo quantomeno un film onesto. Invece sullo schermo ci proiettano questa cacatella noiosa, lunga, assurda e inutile.
Ho intervistato Daniel Craig per voi. (Il dialogo originale era in inglese)
Orudis: Daniel, come mai sto film fa così cagare?
DC Non è vero! Piace molto.
Orudis: Fa cagare.
DC: Fa cagare, è vero ma non è colpa mia.
Orudis: ma un attore del suo livello non potrebbe dire al regista e agli sceneggiatori. "Ma siete coglioni?"
DC: No.
Orudis: Eppure certi passaggi sono assurdi, come quando lei e la ragazza scendete da un treno per consegnarvi nelle mani del cattivo, così gratuitamente.
DC: non ricordo...
Orudis: E Christoph Waltz, il cattivissimo... Com'è che nei film di Tarantino è un attore me-ra-vi-glio-so  e qui ti viene da prenderlo a ceffoni?
DC: Sarà perché il regista non è Tarantino?
Orudis:
Craig, lei ha letto il copione prima di accettare di girare?
DC: Sì, of course!
Orudis: e non ha visto che era banale, scritto da cani?
DC: Sì...
Orudis: E perché ha accettato?
DC: Perché c'erano un paio di scene in cui limonavo con Léa Seydoux. E' quella de "La vita di Adele", una delle due giovani lesbiche. Lei non avrebbe firmato?
Orudis: of course. Di corsa!







Il pianista oggi lavora in panetteria mentre la ragazzina fa interviste per Trenitalia.

sabato 10 ottobre 2015

Padri e figlie

Parliamo dai dialoghi. Chi li ha scritti? E' come a casa mia quando chiedo chi ha preso le mie ciabatte. Non risponde nessuno, eppure le ciabatte sono sparite. 
Qui nessuno si vuol prendere la paternità di frasi come "La vita ci mette alla prova ma dobbiamo andare avanti, pensare che ci sia qualcosa di migliore" Oppure "Mamma ci guarda da lassù e ci guida". Oppure ancora "Ero sceso dalla macchina, in Africa per pisciare e un leone maschio enorme era lì a 4 metri da me e mi guardava. Poteva uccidermi in un secondo e lì ho capito che volevo diventare uno scrittore". Vorrei parlare anche di altro che non siano i dialoghi, ma allora dovrei dire della lentezza, della voglia di uscire dal cinema prima della fine, dei dejà vu, della recitazione, delle tette che non si vedono mai, di Muccino che deve essersi preso la rosolia. Faccio prima a dire che è una merda di film. Del resto 6 auto nel parcheggio e 8 persone in sala lo dicono meglio e più forte di me,

domenica 4 ottobre 2015

Sostiene Pereira

Ho impiegato più tempo del lecito per leggere questo breve romanzo. Il problema non è del libro, ma mio che l'ho fruito in modalità REM (rapid eye movement). Gli occhi si muovono da sinistra verso destra velocemente, poi tornano a sinistra e vanno a destra, esattamente come quando si legge o come quando si riporta il carrello della macchina per scrivere al punto di inizio riga, se qualcuno se ne ricorda.
La difficoltà della lettura REM consiste nel vedere e capire il testo: il libro è lì, regolarmente aperto, ma le palpebre sono chiuse, il cervello è spento e il respiro chissà dov'è.
Il sonno, tuttavia, è coerente con questo libro perché “Sostiene Pereira” è la cronaca di un risveglio, quello del maturo dottor Pereira, vedovo, abitudinario, che comincia a esistere quando prende atto che esiste un mondo intorno a sé. Non si addormenterà più grazie alla sua coscienza e alla penna di Tabucchi. Il quale oltre al romanzo ci consegna una nota a fine libro tra le più belle che abbia letto: la genesi del personaggio Pereira è affascinante quanto il romanzo.
Non mi resta che scusarmi con Pereira e con il suo autore se sono stato tanto lento.

È un periodo così: mi metto a letto con gli occhiali e le migliori intenzioni e mi implucco in pochi minuti. È sicuramente colpa della stagione. Quello che non so dire è se si tratti della stagione dell'anno o di quella della vita.

giovedì 1 ottobre 2015

Espulsione

L'anno è il 1990, il mese agosto o inizio settembre.
Una mattina presto parto da Torino con la mia A112 Elite blu notte, con le tre spie dell'econometro a farmi compagnia. Salgo al colle del Monginevro, passo da Gap e poi dirigo verso il centro della Francia. Un viaggio lunghissimo, pallosissimo, con troppa luce e il pericolo di addormentarmi al volante, perché la sera prima avevo fatto molto tardi.
Dove stavo andando? Il nome del paese non lo ricordo mai, ma è proprio nel mezzo della Francia. Lì mi aspettavano il mio amico P (lo chiamo P perché non credo desideri che si sappia che era mio amico), la sua ragazza di allora VB (non sarebbe felice nemmeno lei) e la sorella di V, LB (che mi denuncerebbe).
Non riporto qui tutto il viaggio in tempo reale perché vi perderei tutti per strada. Diciamo che arrivai al paesino verso le cinque del pomeriggio. Individuai la casa tra le altre del villaggio. Tutte case in pietra e legno, un borgo medievale che visiterei oggi con altri occhi e altro interesse. Il mio interesse di quel giorno e di quel viaggio era tutto per LB. 
Apro una breve parentesi.

Io e l'amico P avevamo conosciuto le sorelle B un anno prima sulla spiaggia di Saint Tropez.
Loro parigine, noi torinesi. Quale migliore combinazione? Non si dice, forse, che Parigi è una piccola Torino? Ricordo che conoscendo bene il francese attaccai discorso con le sorelle e maman. Ci piacemmo. L'amico P stava un po' in disparte perché non conosceva la lingua.

A me piaceva L, ma era V a ridere e considerarci di più, perciò quando la sera ci fu da lasciare la spiaggia, chiesi a V di rimanere un po' con me a vedere il tramonto.
Iniziò bene, con qualche bacio e qualche carezza e finì subito con lei che diceva: “Veramente a me piace il tuo amico”. Voi che avreste fatto? Lo avreste detto al vostro amico? 
Io lo feci e passai il resto della settimana da solo.

Torniamo al 1990. Arrivo al villaggio dove dovrei incontrare P e le due sorelle. Il mio obiettivo questa volta è L, ma quando arrivo non c'è nessuno. Sono stanchissimo e aspetto. Aspetto. Aspetto. Aspetto.
Quando infine arrivano tutti a bordo della Panda bianca di P, mi faccio passare il nervoso e mi avvicino per salutare. Non tornano i conti, però: oltre a P, VB e LB c'è anche un'altra ragazza, bionda, quasi albina. Si chiama Blanche, dico il nome e me ne frego delle conseguenze. Certo, la presenza di questa ragazza complica un po' le cose, ma per i miei piani sarebbe stato ben peggio se al suo posto ci fosse stato un Pierre o un Gerard. La scintilla di antipatia reciproca con Blanche scocca immediatamente, non appena ci sfioriamo la punta delle dita.
Che si fa? Si va a fare un giro nella cittadina di … Ma come un giro? Sono stanco morto, ceniamo presto e andiamo a letto, possibilmente insieme, penso io. Invece andiamo in questa cittadina, che adesso visiterei con altri occhi e altro interesse e torniamo al villaggio e all'antica magione che è buio. Si cena? Sì, ma non a casa, si va in paese. Ma come? Ancora chilometri? Sì, si va in paese.
Prendiamo tutte e due le macchine. È un dettaglio importante, fate attenzione. Sulla Panda di P salgono P e la sua ragazza VB (quella con cui avevo limonato dieci minuti l'anno prima). Sulla mia A112 salgono LB e la simpatica Blanche. Io guido, loro parlano fitto fitto. Io capisco solo che sono lo chauffeur.
Arriviamo in paese, sei o sette chilometri più tardi e individuiamo il ristorante. Finalmente.

A tavola finisco davanti a Blanche. Ordiniamo. Non ricordo cosa presi io, ma lei ordinò escargot! Le famose escargot alla parigina. Non ci avevo pensato e non le avevo viste sul menu! Pazienza.
Quando arrivano i piatti, Blanche allunga la forchetta nel mio e mi chiede se può assaggiare. - Bien sur! - dico io, che voglio sembrare simpatico agli occhi della sua amica L.

Lei si serve un assaggio abbondante, mentre le porzioni francesi, come si sa, abbondanti non sono mai. Non importa.
Quand'ecco che arrivano les escargot fumanti!
Aspetto un attimo poi prendo la mia forchetta e l'avvicino al piatto di Blanche.
- Est ce que je peux esseyer? - le domando con la forchetta per aria. Giusto una formalità.
Lei scuote la testa e dice - Non -.
- Come no? -

Lei non solo dice no, ma si allontana con il piatto per toglierlo dalla mia portata. E non sta scherzando. Non è una mossa simpatica per poi darmi un paio di lumache. No, se le finisce e pulisce pure il piatto.
Mi incazzo dentro. Solo dentro. Fuori non deve trapelare nulla perché in un solo istante ho già elaborato un piano per ucciderla e non vorrei che gli amici finissero per guardare me quando i gendarmi verranno a chiedere se Blanche avesse dei nemici.
Mi accontento dell'insalata mal lavata, poco sbattuta e condita con una salsa biancastra, e aspetto pazientemente la fine della cena.

Si risale in auto e arriva il mio momento.
P fa salire VB e partono con la Panda.
Io aspetto un attimo, poi salgo sulla A112, sollevo il sedile del passeggero e invito la mia amica L a salire dietro.

Non appena lei è sistemata dietro, senza nemmeno abbassare il sedile e mentre la troia Blanche fa per salire sulla mia macchina, lei che mi ha rifiutato l'assaggio, che mi ha spazzolato metà del mio risotto o quel che era, lei che vorrebbe appoggiare il suo culo di merda sul mio sedile, mentre fa questo, io mi allungo e la chiudo fuori: Slam! Il motore è già acceso, la prima è già ingranata e l'A112 fa una di quelle sgommate che la rendono tanto popolare tra i truzzi.
L'amica L è talmente scioccata per quello che ho fatto che non riesce a parlare. Dopo urlerà soltanto mentre prenderò le curve ad una certa velocità. L'amico P è già avanti e non sa che c'è una stronza tutta sola, al buio, davanti a un ristorante. Peccato che fosse il 1990. Adesso la decapiterebbero in un niente.
Percorro i sei o sette chilometri con L che piange e mi urla nelle orecchie. Non capisco se è incazzata o se ha paura per come sto guidando. Ho una sola certezza: non me la darà nemmeno stavolta. Dopo poco mi calmo, raggiungo la Panda di P e mi accodo a lui fino a casa. Quando scendiamo manca una persona. Eh sì. P non capisce, V non capisce L ha capito che sono pazzo e sta urlando a sua sorella e a P. Anche se non capisco bene le parole, credo che ce l'abbia con me. Sì, ho sbagliato, ma mi sento proprio bene. Penso sia meglio non farmi vedere in giro e salgo in solaio dove hanno allestito i letti per gli ospiti.
Dopo una mezz'ora mi raggiunge P che nel frattempo è tornato a prendere Blanche. Mi chiede la mia versione dei fatti e mentre gli dico, sdegnato: “non mi ha fatto assaggiare le lumache” mi rendo conto che non regge. Lui annuisce poi mi riferisce il verdetto: L. ha detto che all'alba me ne devo andare.
Espulso. È giusto. Non presento nemmeno ricorso.

venerdì 25 settembre 2015

1978

Per la mattina in cui rapirono Aldo Moro, ho un alibi: ero con la mia classe alla GAM (Galleria d'Arte Moderna) di Torino dove era di passaggio la collezione Guggenheim. Ci aveva portato non so più quale insegnante e tutto quello che ricordo è un quadro di... Oddio, mi viene da dire Quasimodo ma Quasimodo è un poeta. Vabbeh. Non è questo il punto. Tra le sale girava un mormorio, era successo qualcosa, le Brigate Rosse avevano ucciso qualcuno. Non era la prima volta.
Quando tornammo a scuola, era fine mattina e ora di tornare a casa. Io avevo la patente da poco tempo e una Fiat 600 grigia. Era una 600 dismessa dalla Guarda di Finanza, passata per diverse mani, tra cui quelle di mio nonno, ed era arrivata a me. Ritargata, adesso era TOP0. Andavo in giro con una 600 da buttare, grigio topo, targata topo.
In quel periodo portavo i capelli lunghi. Ma lunghi lunghi. Avrei potuto mimetizzarmi tra i cugini di campagna, e se avessi cantato con loro in playback, non se ne sarebbe accorto nessuno. Invece cazzeggiavo in giro con la mia 600. 
In quel periodo carabinieri e polizia mi fermavano spesso. Non dico tutti i giorni ma quasi. Ma non è questo il punto.
Quel giorno, come è facile immaginare, erano fuori di testa per via del rapimento. Io imbocco via Gorizia e vedo i coni in terra che restringono la carreggiata. “Ahia!” penso.
Le due 127 davanti a me le lascianto passare, quando arrivo io, un carabiniere con mitraglietta mi fa segno di accostare. L'altro si piazza sulla destra: sono spacciato.
Sorrido, avevo la faccia da bravo ragazzo e gli dico che mi ha già fermato ieri. Era vero: avevo riconosciuto il carabiniere che mi aveva fermato il giorno prima in corso Agnelli.
Quello ripete il gesto con rabbia.
Mi fermo, prendo il libretto e scendo. Scendo sempre quando mi fermano polizia e carabinieri. In segno di rispetto. Quando mi fermano i vigili, no.
Il carabiniere esamina il libretto, esamina la patente, mi guarda un po' schifato, poi mi dice di voltarmi e mi perquisiscono. Uno dei due si siede in macchina e guarda cosa c'è nel portaoggetti. Cosa volete che ci fosse? C'era una collezione composta da 115 pacchetti di MS finiti e accartocciati. Li tenevo lì perché non ho mai buttato un pacchetto dal finestrino e, sinceramente, chiederei la pena di morte per quelli che lo fanno.
- Cosa sono questi? -
Cosa dovevo rispondere? Cosa avreste risposto? Non me la sentivo di rispondere che erano pacchetti di sigarette accartocciati perché, per esperienza, so che i carabinieri si incazzano per questo tipo di risposte. “Non so” sarebbe stato peggio, per cui mi avvalsi, senza saperlo, della facoltà di non rispondere.
- Cosa c'è nel cofano? -
- Niente. -
I carabinieri non ammettono che in un cofano ci possa essere niente. Quello di destra si avvicina e alza un po' la canna dell'M12. L'altro mi ordina di aprire il cofano. Mentre cerco la leva tra i pacchetti di MS accartocciati, penso di tagliarmi i capelli. Mi dispiace, ma creano troppi problemi. E dovrei anche cambiare auto.
Apro il cofano.
- E quella cos'è? -
- La ruota di scorta. -
- No, quella. - indicando col mitra una scatoletta di metallo.
- Gesù! - Me l'ero dimenticata. Adesso sono nei guai.
Se dico cos'è, si incazzano, se non lo dico, non so cosa succede.
Lentamente, per non farmi fucilare, prendo la scatoletta e, sempre lentamente, la raddrizzo perché per qualche motivo era finita a testa in giù. Appare così il foglietto di carta applicato con nastro adesivo sul coperchio, che indica il contenuto. La scritta non lascia spazio a dubbi: “Cassetta della cagata felice”.
I due carabinieri si guardano.
- Cos'è? -
Di nuovo: cosa dovevo rispondere?
- La apra. -
Sono contento, così capiscono e la finiamo.
Apro con delicatezza e appare il contenuto: un estratto dell'Intrepido con un racconto a fumetti di Billy Bis (che ovviamente non avevo mai letto, se no dove stava la felicità?) una sigaretta Marlboro (Marlboro non MS se no dove stava la felicità?), un accendino usa e getta quasi scarico e un bel po' di carta igienica. (Morbida, se no...)
Il carabiniere si convince che non sono un terrorista, ma valuta di arrestarmi perché sono un coglione.
- Perché si porta dietro di 'ste sciocchezze? -
- Può sempre servire. -
Avessi detto: “La luna e il falò” o “Altafini gioca a Monopoli” o “So dove tengono Moro”, la sua reazione sarebbe stata le stessa: un gesto di stizza, un “se ne vada” pronunciato con disprezzo più dalla canna della mitraglietta che dalla bocca. Come se gli avessi fatto perdere tempo. Come se mentre controllava me, gli fosse scappato Renato Curcio sotto il naso. E forse è andata proprio così.
E io?
Con le gambe che tremano un po', risalgo in macchina e riparto, con la mia cassetta della cagata felice appoggiata sul sedile del passeggero, quello che non si poteva usare, perché il fondo arrugginito della 600 non avrebbe retto il peso.

Accesi quell'unica sigaretta Marlboro, rientrando nel traffico filtrato dal posto di blocco. Non so che fine fece la cassetta. Forse rimase nella 600 quando la vendetti per 250.000 lire. Mi dispiace perché quel racconto di Billy Bis non lo lessi mai. Questo è il punto.

Sangue e neve

Il Jo Nesbo dei romanzi seri (quelli pubblicati in Italia prima di passare a Einaudi), non tornerà più. Dopo aver scritto roba come “il gattopardo”, “lo spettro” e “Polizia” della serie con Harry Hole avrebbero dovuto attaccarlo allo scappamento di una Volkswagen e lasciarlo lì. Ma la Norvegia è influenzata dalla corrente di Babbo Natale e lo hanno graziato. Allora lui ha rilanciato con “Sangue e neve” e “scarafaggi”. Di scarafaggi non voglio sapere niente. “Sangue e neve”, invece, l'ho letto ieri in due ore e - guardate - mi è piaciuto. Abbastanza inverosimile, ma non tanto come i sopracitati, “Sangue e neve” è anche o soprattutto un libro scritto bene. Nesbo crea un personaggio nuovo, un criminale del tutto atipico al quale è inevitabile affezionarsi e lo mette nei guai dopo poche pagine. Poi c'è la storia d'amore. Questa potrebbe essere la condanna definitiva per Nesbo. “Ma come? Un thrillerista che imbastisce un romanzo rosa?” Rosa un cazzo: Sangue e Neve è bello splatter, con sparatorie e teste tagliate. Ma poi, se anche fosse? Se l'amore si fa
sentire, voi che fate? Riattaccate come fosse un call center di ENI Gas e Luce? Decidete voi, ma prima, almeno, leggete “Sangue e neve”.

lunedì 21 settembre 2015

Soffocare


Non è un libro. È un amico. Cioè: “Soffocare” è il libro; l'amico è Chuck Palahniuk. Non posso definire diversamente uno che mi capisce e mi conosce al punto da farmi fare quello che vuole. Chuck sa perfettamente come funzionano i miei due schemi mentali e mezzo, sa cosa mi fa ridere, cosa mi diverte, cosa mi fa ridere tanto, cosa mi manda in ipossia dalle risate, cosa mi fa desiderare di indossare un Tena Lady.
Mi rendo conto che Chuck mi prende in giro con amore, perché mentre scrive sa esattamente a quale punto della pagina e della riga comincerò a ridere. Non solo: mi dà la sensazione (probabilmente vera) che se ci incontrassimo, io e lui saremmo davvero amici e Chuck riderebbe delle mie battute come io delle sue.
Naturalmente lui parla a tutti, ma io ho la presunzione che si rivolga proprio a me. Poi, però, scopro che anche altri uomini lo conoscono e hanno la stessa sensazione. E allora? Siamo forse gelosi per questo? Ma no: siamo tutti più amici.

Ecco, non credo che le donne possano apprezzare con lo stesso slancio il libro e l'amico Chuck. Per quanto possano conoscere bene il pisello (intorno al quale ruota tutto quanto) hanno con esso un rapporto diverso, mediato. La differenza è un po' quella tra un proprietario e una semplice utilizzatrice. Per dirla in altre parole, mi potete spiegare finché volete la fisica quantica ma non ci arriverò mai. Il rapporto di un uomo col sesso è la stessa cosa: può capirlo veramente soltanto un altro uomo.
Intendiamoci: io metto la donna sopra ogni altro essere vivente. Vorrei una donna per tutto: per amare ed essere amato, per ragionare, piangere ed essere consolato, per capire le cose, essere trasgressivo, per viaggiare, farmi insegnare e farmi dirigere, per ascoltare e imparare tutto quello che c'è da sapere nella vita.
Ma per ridere tanto, per sentirmi “penetrare” da un'altra anima ridens voglio un uomo, perché per quanto una donna possa essere brava, gli uomini lo fanno meglio.

domenica 13 settembre 2015

Ricalcolo


Svolta a destra, poi di nuovo a destra.
Io la ignoro ma non mi sento mica a posto. È possibile che mi dispiaccia? È soltanto una voce.
Alla rotonda, prendi la quarta uscita.
Che sarebbe come dire: torna indietro. Non lo farò, anzi tiro dritto. Sbaglia senza sapere di sbagliare. Ed è colpa mia. Non le ho detto che non voglio prendere l'autostrada. E non ho voglia di fermarmi per cercare l'opzione “evita pedaggi”. È nascosta in un menu difficile da trovare e ci perderei un sacco di tempo.
Esci dalla rotonda.
Hai ragione, ma vado dritto. Adesso sono certo che mi dispiace ignorarla. È un sentimento irrazionale, (tutti i sentimenti lo sono, ma questo di più) L'ho isolato: sembra faccia parte della famiglia dei sensi di colpa. Non è questione di sensibilità, probabilmente ho la corteccia cerebrale consumata come il battistrada dei miei pneumatici. O forse è davvero sensibilità. A me, a volte, danno fastidio delle cose che altri nemmeno considerano.
Tra trecento metri, alla rotonda, prendi la seconda uscita.
Mi sta dicendo di proseguire dritto e lo fa con un certo entusiasmo. Sembra che sorrida mentre lo dice. Tra l'altro, questa volta siamo perfino d'accordo. Ha cambiato idea, ma non perché abbia ceduto. Ha fatto i suoi calcoli. Evidentemente i chilometri da percorrere per tornare al casello precedente, sommati alla tratta autostradale tra i due caselli è superiore alla distanza che devo percorrere andando avanti fino al prossimo casello. È logica. La ammiro.
È solo una pausa, ma questo accordo mi porta un poco di sollievo. Come una pausa, appunto.
Prendi la seconda uscita.
È un piacere accontentarla. Mi ritorna in mente il tempo in cui pagavo i pedaggi con il bancomat, prima del Telepass. Anche allora era una voce sintetica a dirmi cosa dovevo fare. Terminato il pagamento mi diceva: “Arrivederci e grazie”. E io? Io rispondevo sempre. Con una battuta spiritosa se ero con qualcuno in macchina. Con un arrivederci se ero da solo. E quando guidava un altro e non diceva nulla? Mi trattenevo dal suggerire all'autista di rispondere, per non rendermi ridicolo. Intanto quella persona perdeva una piccola parte della mia considerazione. Purtroppo non è possibile perdere soltanto una piccola parte di considerazione. Quando cade, la stima cade tutta.
Proseguire per 4 chilometri.
Per un po' non dirà più nulla, ma tra quattro chilometri c'è una nuova entrata per l'autostrada.
Tra trecento metri, alla rotonda, prendi la prima uscita.
Eccoci. Io andrò dritto, naturalmente.
Esci dalla rotonda.
No. Non sono uscito dove diceva lei, adesso però c'è un'altra rotonda; perché non mi dice di percorrerla tutta e tornare indietro? Si è offesa, stancata, o semplicemente ignora l'esistenza di questa rotonda? O non si è accorta che ho disobbedito? Se fosse così, mi dispiacerebbe: non voglio fare le cose di nascosto.
Non parla più. Rallento. Del resto c'è il limite dei 50.
Ho appena passato un'altra rotonda e non ha fiatato! Perché? Le luci del casello sono ancora visibili dietro di noi. Questa rotonda non sembra nemmeno nuova. Deve sapere che c'è! Di qualcosa!
Dimmi di tornare indietro o di tenermi leggermente a destra. Di una di quelle cose che mi dici sempre.
Accosto. Una fila di auto ne approfitta per passare. Se sto fermo, certo non parla. Controllo che ci sia il segnale gps. Sembrerebbe di sì. E allora?
Riparto, forse se mi muovo, dirai qualcosa.

Dimmi qualunque cosa: questa volta obbedirò. Svolto a destra e poi di nuovo a destra? Tu dillo e io eseguo. Parlami, per favore. Dimmi che sai che sono qui, in un punto di questa statale nera. Dimmi che conosci le mie coordinate. Nel buio di questa notte senza stelle che mi possano orientare o dare un po' di conforto, dimmi che ho una rotta da seguire. Ti prego, dimmi che devo fare.

sabato 12 settembre 2015

Dalle nove alle nove

Sì che mi è piaciuto. No che non è bello.
La coerenza qui difetta perché il racconto è costruito intorno a un'idea notevole e originale (che costituisce la sua forza) ma la storia è proprio brutta. Il personaggio fa perdere la pazienza. Si comporta come uno dei Cesaroni, (non vorrei che sembrasse che me la tiro con le citazioni dotte) i quali rendono assurde e complicate situazioni che si potrebbero risolvere in modo molto semplice. Riesce impossibile immedesimarsi e questo è un guaio in un racconto. Riesco a immedesimarmi totalmente persino coi personaggi di Piperno, che sono delle vere merde. Qui, non ci riesco proprio, perché Demba è troppo coglione.
Però, alla fine si scopre che non è affatto così. C'era un perché. Si palesa l'idea di cui parlavo all'inizio. Allora perché non fare marcia indietro e rivedere il proprio giudizio? Perché il gioco è durato troppo e il sentimento anti Demba ormai è bello e consolidato. Sarebbe come ricredersi su Renzi, la Boschi e pensar bene del PD. Non so voi. A me pare impossibile.

martedì 18 agosto 2015

Polpette di melanzane a norma (L 626/94)

La ricetta l'ho presa internet. La ricopio tale e quale, commentando i passaggi secondo la mia esperienza personale.
Ingredienti
2-3 melanzane 4 uova (io 2) 250 gr circa di pane raffermo, 2 cucchiai di parmigiano, 2 cucchiai di pecorino, 1 spicchio d’aglio, Foglie di basilico. Sale. O extravergine o di semi di arachidi. (Io anche un po' di pepe)
RICETTA
“Mettere a bollire dell’acqua in una pentola.Lavare le melanzane, tagliarle a fettine, quando l’acqua bolle tuffarci le melanzane e farle cuocere.”
COMMENTO
Ora, avete mai messo le melanzane a bollire? Per me era la prima volta e ho quindi scoperto oggi che le melanzane rispondono a meraviglia alla legge di Archimede e hanno una spinta verso l'alto straordinaria. Saltano fuori dall'acqua che nemmeno uno scafista davanti alla Guardia Costiera. Per chi bolle l'acqua, se le melanzane lottano per lasciare la pentola? Viene da spingerle giù, ma sono tagliate a fettine e mentre ne affoghi una, eccone altre sette che schizzano fuori. Mia moglie mi ha nascosto i guanti di amianto. Non mi resta di sperare che succeda qualcosa. In effetti, dopo un po', si arrendono: assorbono acqua e affondano perché ormai sono cotte.
RICETTA
“Quando sono cotte metterle in una scodella con acqua fredda, l’acqua fredda ha due scopi, quello di raffreddarle e quello di far perdere l’amaro”.
COMMENTO
Ok, dove sbaglio? Per me tre melanzane in una scodella ci stanno come il battacchio di Rocco Siffredi tra le chiappe di una Barbie. Eppure c'è proprio scritto scodella. Meglio una pentola da pasta.
RICETTA
“Nel frattempo mettere a bagno in acqua il pane raffermo”.
Questo lo so fare bene.
COMMENTO
“Togliere le melanzane dall’acqua, strizzarle bene e tagliarle a pezzetti, (io uso un bel coltello affilato, ma si può usare anche la mezzaluna), strizzare anche il pane e unirle in una ciotola.”
Scopro con orrore che le melanzane non si possono strizzare né bene né male. È come strizzare la maionese. Prima di cucinarle pesavano 4 etti circa, adesso pesano 6 chili e mezzo e funzionano come deumidificatori. Nella mia cucina si sta benissimo perché le melanzane cotte assorbono tutta l'afa. Mi rendo conto che è un problema serio. Il primo metodo che utilizzo è manuale. Schiaccio le melanzane con le mani, ma insieme all'acqua. se ne va anche la polpa. Allora uso lo scolapasta, ma dopo poche gocce si tappano tutti i buchi. Idea: la centrifuga dell'insalata. Appoggio la pasta fradicia sul fondo, ma la vedo scivolare subito tra le maglie troppo larghe del cestello. Devo decidere: il phon oppure tutto un lavoro di preparazione della teglia con la carta da forno, distribuzione della pasta di melanzana, portare il forno a temperatura, metterlo su ventilato.... no, troppo lavoro: meglio il phon. Senonché l'asciugacapelli non serve: crea divertenti crateri nella poltiglia, ma non asciuga. Riprovo allora con lo scolapasta e con tanta tanta tanta pazienza (che non ho mai avuto) elimino l'acqua in eccesso.
RICETTA E COMMENTO
“strizzare anche il pane e unirle in una ciotola”
Devo raccontare anche come ho strizzato il pane?
RICETTA
“Aggiungere il pecorino, il parmigiano, l’aglio tritato e il basilico ridotto in minutissimi pezzi, le uova, aggiustare di sale.
Amalgamare tutti gli ingredienti, se dovesse essere troppo duro aggiungere un altro uovo, se invece dovesse essere molle aggiungere qualche cucchiaio di pane grattugiato”.
COMMENTO
Ah! Ah! Ah! Se dovesse essere duro! Emoticon smile Emoticon wink Il mio impasto è così duro che con la luna calante sale la marea! Un'anatra potrebbe usarlo per insegnare ai suoi paperotti come ci si immerge. È talmente liquido che per la legge 626 è considerabile tra le vernici ignifughe. Il Polesine e Firenze erano deserti in confronto.
L'unica è asciugare con segatura o pangrattato. In casa ho solo il secondo e ne uso una quantità che Banderas non ha mai visto in tutta la sua cazzo di panettieria.
Sono polpette di pangrattato adesso.
RICETTA
“raggiungere la consistenza delle polpette, formare le polpette che di solito hanno una forma piatta ovalizzata, ma possono essere, anche rotonde o ovali. Friggere in abbondante olio, finché non sono dorate”-
La consistenza non è quella della stone del curling, ma adesso lìimpasto è plasmabile. Compongo delle palle che stanno insieme, le impano e le butto nell'olio bollente schizzando le piastrelle fino ad ora rimaste pulite.
SITO
“Se vi piacciono le mie ricette venite a trovarmi nella mia pagina facebook mettete mi piace e spuntate ricevi le notifiche, mi trovate anche su Twitter. Pinterest Google + Linkedin”
IO
Anche no. Ma ti pare? 

mercoledì 29 luglio 2015

Sette brevi lezioni di fisica

Soltanto perché passavo davanti alla biblioteca del paese, soltanto perché era sul tavolo delle novità e soltanto perché avevo una mano libera. Infine perché volevo capire il motivo di tanto successo. Dico subito che non l'ho capito. Non solo il posto che ha occupato e occupa ancora in classifica, ma nemmeno il contenuto. Mi sono perso già alla seconda lezione e, se ti mancano le basi della meccanica quantistica, ditemi voi come si fa a penetrare nel mondo delle particelle elementari.
Ho apprezzato invece la prima lezione, quella sulla teoria della Relatività, in particolare un passo in cui Rovelli esula dalla fisica per parlare delle persone. In particolare parla di Einstein e dice che da giovane, Albert era svogliato, indisciplinato e perdeva tempo. Ne approfitta per dire che i genitori degli adolescenti sbagliano quando cercano di riportare i figli sui binari della disciplina, poiché i ragazzi hanno bisogno di perdere anni luce di tempo per crescere bene e sani. Mi ci sono ritrovato in pieno. La penso esattamente come lui. Come genitore, infatti, sbaglio alla grande nel senso indicato da Rovelli. Come figlio, invece, non ho sbagliato niente: il tempo che ho perso da giovane lo so solo io, ma se è vero che l'universo è curvo, prima o poi lo ritroverò.

sabato 13 giugno 2015

Fury

Bello, scritto quasi bene, ben diretto e recitato. In una parola “godibile” per quanto può essere godibile un film di guerra, violento che va bene. A una condizione, però, quella di lasciare fuori dalla sala lo spirito critico. Entrate per godervi il film e fottetevene delle statistiche, delle probabilità, delle traiettorie balistiche e di quello che sapete di artiglieria. Non fate conto nemmeno sulla Divina Provvidenza. Qui i colpi di mitraglia, i traccianti e gli 88 tedeschi vanno dove vogliono gli sceneggiatori e le granate esplodono quando fa comodo al regista. Ma abbiamo detto che lo spirito critico sta fuori. Fate solo attenzione a quando gli rimetterete il guinzaglio, potrebbe mordervi.

mercoledì 3 giugno 2015

Non dormirai mai più

Se potessi recensire questo libro, direi che per me la parte più bella è il rapporto che si crea tra Gulia e Renzo. Un'adolescente di 16 anni, reduce da una violenza sessuale, costretta a vivere a stretto contatto con uno sconosciuto, ex professore delle medie, che ha lasciato la scuola a seguito di una denuncia per molestie sessuali nei confronti di un'allieva. Insomma, due persone che non si dovrebbero incontrare nemmeno per sbaglio, si trovano a condividere loro malgrado due stanze, il fumo della stufa e castagne bollite. 
L'idea del libro parte proprio da qui.
Se potessi commentarlo, aggiungerei che va via in fretta. Questo è un vantaggio perché se ci sono errori o refusi non si fa in tempo a notarli.

Se potessi dire la mia, infine, denuncerei un mare di difetti, ma poiché non posso, taccio. :-)

lunedì 1 giugno 2015

La gita di classe

Racconto di 39 pagine. Da leggere? Sì perché si fa in fretta. In verità diciamo che fa un lavoro diverso da quello per cui è stato scritto. È come assumere un imbianchino per tinteggiare casa, salutarlo, uscire per andare al lavoro e trovarlo poi in cucina che prepara il risotto coi funghi: il racconto doveva servire a presentare il protagonista dei romanzi NON È VERO e NON DORMIRAI MAI PIÙ a chi non li ha ancora letti e invece rende felici quelli che i romanzi li hanno già letti e sentono la mancanza del Cremona.
Va bene lo stesso, ovviamente. Si scarica gratuitamente da Amazon e dagli altri store online.

lunedì 25 maggio 2015

L'uomo degli scacchi

Il vestito più bello è quello che si toglie quando si è in due. Ma voi pensate ad un abito bellissimo, il più bello che possiate immaginare. È quello con cui Peter May ha vestito la sua trilogia di Lewis: l'ambientazione, appunto. Tutti e tre i romanzi si sviluppano nelle Ebridi Esterne, isole che ho avuto il piacere di visitare due anni fa e che ritornano prepotentemente in cima alla hit dei miei desideri. Scogliere, montagne, nebbie, piogge, vento, cieli, tutto meravigliosamente descritto e sapientemente distribuito, con un accenno quasi in ogni pagina. Un grande spot per l'Ente del Turismo Scozzese, ma se al romanzo togliessimo la torba, il machair, le salite, le spiagge, le onde e le tradizioni popolari, ci troveremmo di fronte ad una persona in mutande, con le gambe storte e secche come grissini, la pancia flaccida e le ginocchia giallastre. Dimenticavo: le unghie dei piedi lunghe e forse non del tutto pulite. E gli slip da 3 x 5 euro. E l'ombelico con la lanetta. E la cicatrice dell'appendicite sporgente. Tette cadenti l'avevo detto? Tette cadenti, che sia uomo o che sia donna. Mi dispiace. Ho amiche entusiaste, che hanno letto questo libro in inglese perché non ce la facevano ad aspettare l'edizione di Einaudi.
Cosa posso dire? I m sorry. Non è tanto la trama ad essere inverosimile (e un po' lo è) sono le scelte dei personaggi a non essere di questa terra. Non ce n'è uno che di fronte ad un evento si comporti da persona intelligente. Sembrano i Cesaroni, avete presente? Creano casino quando la soluzione sarebbe semplice e a portata di mano. 4 cose imperdonabili: 1) il protagonista che ogni tanto racconta il passato in prima persona, così, senza un pretesto, come se l'autore (o il traduttore) non avesse voglia di cimentarsi con il trapassato. 2) un omicidio a tre pagine dalla fine. A che scopo? Per farci capire che potrebbe esserci un seguito? 3) Il nostro eroe che ha delle informazioni importanti e non le vuole dare alla polizia, vuole tenersi tutto lui, come nei peggiori gialli degli anni '60. 4) un paragrafo di 4 righe per dire che è contento che la sua attuale compagna abbia perso la verginità con Donald e non con Artrair, personaggio di cui si parla nel primo dei tre romanzi, uscito e letto tre anni fa! Peter May, ma lo sai a noi cosa cazzo ce ne frega a chi l'ha data tua moglie prima di te?
Bon, diciamo noi in Piemonte per troncare un monologo, quando ci accorgiamo di aver esagerato e anche un po' annoiato. Si badi che bon non vuol dire “buono”: vuole dire “basta”.


mercoledì 20 maggio 2015

La giornata d'uno scrutatore

Al 2° posto: “Estate ragazzi, final show”. Non credo possiate sapere com'è la serata con cui si chiude “Estate ragazzi” a Favria, il comune in cui  mi sono trasferito nel 2002. Dura un paio d'ore. I genitori seduti tra le zanzare, mentre su un palco uno sciame di animatori adolescenti ringrazia tutti. Soprattutto, gli animatori si ringraziano tra loro e dicono che è stata una bella esperienza. E giù applausi. I bambini sono decisamente meno numerosi degli animatori e quando recitano non si sente niente, perché il volume dell'impianto distorce tutto. Ma forse è meglio così. Invece gli animatori che si ringraziano a vicenda si sentono benissimo.
Al 3° posto: Carlo Conti.
4° posto: la messa di trigesima per l'anima del cognato della vostra ex vicina di casa.
5°: un pranzo di nozze di quelli che iniziano alle 15
6°: un film di Lars Von Trier
7°: una domenica ai seggi se non c'è nemmeno una scrutatrice da baccagliare.
Ho elencato sei delle sette cose, persone, situazioni più noiose al mondo secondo me.
La prima è “La giornata d'uno scrutatore” di italo Calvino. Cazzo che delusione. Mi aspettavo che sublimasse la noia, chissà che mi aspettavo. Invece scrive difficile ed è tutto tortuoso, tanto che si fa fatica sia a tenere gli occhi aperti, sia ad addormentarsi. I contenuti sono belli spessi, ma incastrati nella mota, come canditi nel torrone. Spoiler: lo scrutatore ha anche una fidanzata che è lì lì per mollarlo. Fa bene.

mercoledì 13 maggio 2015

Io confesso

La metafora della salita in montagna ci sta. Affrontare le 800 pagine di Io confesso è come porsi di fronte a un tremila, partendo da fondovalle. Il pensiero che consola è rappresentato dalla possibilità di mollare a qualsiasi pagina e tornare indietro. Senza questa garanzia non si allacciano nemmeno gli scarponi.
Il sentiero è impervio fin dalle prime pagine, un problema comune a molti libri che partono in forte pendenza Questo, però, si impenna letteralmente: frasi che iniziano in prima persona e finiscono in terza: salti di tempo, di scena, personaggi e luoghi in un solo periodo.
Se siete già stanchi potete smettere di leggere. Se invece, come me, avete ricevuto un'educazione cattolica, sapete che più soffrirete, più grande sarà la ricompensa.
Confermo: il panorama che Jaume Cabré regala a chi arriva in vetta non ha confini. Spuntano all'orizzonte le coste di altri libri che hanno lasciato il segno, ma questo... adesso siamo sulla vetta di questo che pare il più alto, il più bello. Forse domani l'emozione evaporerà e tutto ritornerà nei ranghi della normalità, ma oggi trionfa la bellezza della prosa, la tenerezza di un grande amore e l'invenzione dell'autore che ha saputo creare un linguaggio difficile, impossibile, faticoso e persino idiota, ma assolutamente geniale. Per ora non mi va di scendere. E non scendo.

domenica 3 maggio 2015

Bambino 44

Ho visto Bambino 44 al cinema. Ma ho fatto anche di peggio: meno di un anno fa ho letto il romanzo da cui è tratto. Il clima grigio, angosciante degli anni dello stalinismo è reso davvero bene: mi immaginavo tutto come lo mostra il regista: ambienti, scene, personaggi. L'Oscar per l'angoscia è suo. Ma solo quello, perché l'intreccio narrativo è tessuto con lo spago degli asparagi. Figlio 1 e Figlio 3 che erano con me in sala (va beh che non sono delle aquile) continuavano a chiedermi spiegazioni perché diversamente non avrebbero capito una cippa. Io qualcosa dicevo, qualcosa inventavo perché mi rendevo conto che dovevo giustificare scelte narrative indifendibili: rivoli e affluenti del racconto che a) non servono b) sono di troppo 3) rallentano 4) non aggiungono nulla.
Quando si passa dal libro al film non è obbligatorio commettere gli stessi errori dello scrittore. Il regista Daniel Espinosa ha pensato bene di mantenere fedelmente tutte le boiate scritte da Rob Smith, aggiungendone di sue.

Non so se si è capito: Bambino 44 potete perderlo tranquillamente. Io, invece, ho perso la stima dei figli e devo trovare il modo per farmi perdonare quelle due ore e mezza che hanno trascorso coi genitori in sala invece che a smanettare sui cellulari guardando Mtv. Sarà dura.

sabato 2 maggio 2015

Tutti i nomi

Mi dicono che ci sono due atteggiamenti distinti quando si è indecisi tra due ragazze. Il primo risponde alla domanda: Quale mi piace di più? Il secondo alla domanda: quale delle due la darà più facile? Cambiamo livello: i libri sono come le ragazze: possono benissimo dirti di no. Anzi, proprio come le ragazze lo fanno spesso e con sadico piacere. Io ho iniziato due libri: “L'età delle promesse” e “Io confesso”, rendendomi ben presto conto che il primo prometteva tesori nascosti, ma il secondo dava segnali più espliciti. Quando ne scorrevo le pagine (è di carta) rispondeva. Non so se mi spiego. Tanto che mi sono detto: "oh, si preannuncia una bella cosa". Poi, però, passeggiando sotto i portici di via Cernaia, ecco una bancarella di quelle serie, con un bouquiniste di quelli che hanno letto tutto, ed ecco superare l'odore di muffa “Tutti i nomi”. È finita che tra i primi due ha prevalso il terzo. Ma ha prevalso cosa? L'insoddisfazione, come è naturale che sia. È stata una passione fugace, condita dai sensi di colpa. Si può amare con distrazione? Sì, ma non si chiama amore, è una perdita di tempo e soprattutto di occasioni. “Tutti i nomi” mi ha sedotto con quell'atmosfera senza tempo, senza colori e senza nomi che pochi, pochissimi scrittori sanno evocare. Con un personaggio seriamente ottuso come mi sento io. Ma intanto pensavo agli altri due libri, in attesa. Ma sarà poi un'attesa? Mi domandavo: "Mi aspetteranno?" Non lo so ancora. Proverò a riallacciare i rapporti facendo finta di niente. Dove eravamo rimasti? Con le ragazze non funziona. Ma in verità non lo so. Parlo per sentito dire.

venerdì 1 maggio 2015

Non dormirai mai più

Sapete cos'è un book trailer? Nient'altro che uno spot che tenta di vendere un libro. Il libro è "Non Dormirai Mai Più" che non posso lodare, eucaristizzare, esaltare come vorrei per ovvi motivi.
Vi invito però alla visione del book trailer ringraziando Diego Garzino e i ragazzi che lo hanno realizzato con grande professionalità. Io, alla loro età ero un dilettante.


domenica 12 aprile 2015

Incipit

Chi ha regalato questo libro strenna, venti e più anni fa, probabilmente non sapeva cosa faceva. Chi lo ha ricevuto certamente non sapeva cosa riceveva.
Il secondo ero io.
La mia copia di “Incipit” di Fruttero e Lucentini è ingiallita, perché vent'anni scontati nella libreria più umida della casa sono lunghi come quelli trascorsi da Papillon alla Guyana. Però il libro è rimasto nuovo dentro, proprio come lo spirito di Papillon, perché contiene 757 emozioni di quelle che rimangono fresche per sempre.
Mai aperto in questi vent'anni, oggi lo tiro fuori per lavoro e scopro meraviglie, centinaia di incipit che fanno venire una voglia matta di leggere i libri. Per esempio:
Nel marzo 1912, nel porto di Napoli, durante le operazioni di scarico di un grande transatlantico, si verificò uno strano incidente sul quale i giornali fornirono informazioni copiose ma ornate di molta fantasia”.
Oppure
L'astronave riemerse dall'iperspazio, nell'oscurità punteggiata di stelle. Per un lungo momento nessuno parlò. “Dov'è finito il sole?” disse infine qualcuno.

Ora, non vi dico di comprare Incipit di F&L perché fareste anche fatica a trovarlo, ma vi consiglio, pur senza averli letti, rispettivamente, Amok, di Stephan Zweig, 1922 e Il ritorno dell'Explorer, di Paul Anderson, 1955. Io ci scommetto che sono buoni, Poi mi dite.