Ci sono ambientazioni che mi rendono particolarmente caro un libro. Questi luoghi sono i sanatori, i sommergibili e le sedi di esperimenti o disastri nucleari. No, non ci sono ancora andato dallo psicoterapeuta, sì ci devo andare, lo so.
Questo romanzo di Martin Cruz Smith si svolge quasi interamente intorno al reattore di Chernobyl, nella "zona" chiusa, vietata e super inquinata da Cesio, Iodio, Stronzio e tanti altri fantastici radionuclidi. Il giallo si dipana tra villaggi abbandonati, relitti radioattivi, personaggi che non dovrebbero vivere lì e invece sono residenti stabili, scienziati, milizia locale e misteri.
Sul meccanismo giallo non dico nulla perché non l'ho proprio capito e dopo un po' ho smesso di interessarmene, ma ho anche scoperto che non leggo certi gialli per scoprire chi è l'assassino. Mi piacciono e basta.
Oltre alla location che mi eccita una cifra, devo ammettere di essere un fan del detective Arcady Renko, che seguo da tanti anni e del quale perdo continuamente le tracce.
Proprio a proposito di Renko, sorge una considerazione: ma quanto si assomigliano lui, che è un detective russo, e il commissario Harry Hole, norvegese di Jo Nesbo? Sono come due locomotive di Guccini entrambe lanciate contro l'ingiustizia. Non li ferma nessuno, prendono entrambi un sacco di botte, mettono in gioco la loro vita continuamente, sono sempre sfortunati con le donne, uno è etilista l'altro è alcoolizzato. Due eroi gemelli che amo particolarmente. Davvero: non ci sono differenze tra il Renko di questo romanzo e Harry Hole di "Polizia" o "Sete".
A cosa serve questa scoperta? A nulla. Se non a consigliare a chi legge "quasi" tutti i romanzi di Nesbo e Cruz Smith. Di Smith si può evitare "Havana" mentre di Nesbo, se andrete in ordine cronologico, vi accorgerete voi stessi quando sarà il momento di smettere.