martedì 13 marzo 2012

La coscienza di Zeno

Da studente non lo incrociai nemmeno. In quarta o in quinta si andava veloci da un collettivo a quello dopo e c'era da scioperare perché il riscaldamento non funzionava. E poi c'erano le compagne. 
Adesso non ne posso parlare, perché ho impiegato un mese e un giorno per leggerlo. Troppo. Si perde il gusto. E' come mettere tra i denti un boccone succulento e poi ruminarlo per minuti e minuti. Farà tanto bene alla digestione, ma si perde il piacere. 
La colpa è solo mia. Ho preso La coscienza di Zeno dalla libreria, dove faceva paura con il suo titolo tanto famoso, e me lo sono portato sul sedile di mezzo della Multipla. E lì è rimasto anche quando mi sono accorto del suo valore. Perché lo volevo come compagno durante le varie attese. Attesa del figlio, attesa della moglie, attesa del treno, attesa dell'attesa. 
E così, posso dire di conoscere soltanto superficialmente il protagonista, Zeno Cosini, pur sentendomi tanto vicino a lui. I sentimenti di Zeno, che sono così simili a quelli di tutti noi, noi uomini perlomeno, non li ho mai visti messi per iscritto così lucidamente e in una forma tanto elegante. Ci ha provato Kundera, forse, ma a Italo Svevo, Milan non gli allaccia nemmeno le scarpe. 
Rimetto il libro dove l'ho preso, a far paura con un titolo tanto famoso e a farmi sentire in colpa per chissà quanto tempo.

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