Soltanto un anno fa Cesare aveva i capelli lunghi e fini. Li portava liberi ai lati del volto facendoli passare dietro le orecchie. Quando arrampicava li raccoglieva con un nastrino elastico verde.
Ora quel nastro è arrotolato intorno al polso, ma Cesare è diventato talmente magro che l'elastico spesso scivola dalla mano e si perde in mezzo alle lenzuola.
Cesare ha i capelli spezzati, non cammina più, non vede più, sempre più spesso rimane incosciente per alcuni giorni di seguito. Parla con molta fatica e presto smetterà anche di respirare. Lo sa.
Piero vede per lui. Quasi ogni giorno verso sera lo va a trovare. Le sue visite sono brevi, ma a Cesare sono sufficienti perché Piero condivide la sua stessa passione. Piero e Cesare sono una coppia di alpinisti molto affiatata. Insieme hanno tracciato innumerevoli nuove vie su una serie infinita di pareti, dalle Marittime alle Giulie. Per questo sono piuttosto famosi non soltanto presso la piccola sezione del Club Alpino del loro paese, ma in tutto l'ambiente alpinistico nazionale e internazionale.
- Ciao Cesare, - dice Piero entrando nella stanza e chiudendo delicatamente la porta.
Cesare non risponde, ma sorride e Piero capisce che l'amico lo ha sentito.
- Ti porto buone notizie: ieri sera hanno rieletto Manlio Presidente della sezione. Non che sia un premio per lui, con tutto quello che c'è da fare, ma sono contento. -
Cesare approva continuando a sorridere, ma presto le labbra rosate si stancano e si distendono.
- Basta, non ci sono altre novità in paese. - conclude Piero.
- Racconta, hai voglia? - dice allora Cesare.
Piero temeva quella richiesta, è la stessa di ogni giorno, da mesi. E ogni giorno lo accontenta. Respira forte e sistema la sedia vicino alla finestra provocando più rumore del necessario. Poi si siede e comincia a parlare.
- Oggi c'è il sole, ma non è mica bello. Io e te non si arrampicherebbe mai in una giornata come questa. Al massimo si farebbe un po' di palestra gù da basso. Il cielo è quasi bianco, un po' filamentoso direi. Capace che si rannuvola in un momento e che fa temporale. -
Piero si volta verso Cesare. Il volto è disteso, ma non dorme: è in ascolto. Piero continua.
- C'è afa addirittura, infatti ho sudato a venire su lungo la strada. Ho fatto il giro lungo per vedere se era nato il vitello della Rita, ma non credo...-
- E la Becca Gialla? - domanda Cesare. è la stessa domanda di ogni giorno e Piero ogni giorno cerca nuove parole per descrivere al compagno la montagna che si erge a dominare il loro paese.
- è sempre lì. - risponde. - La vetta è di roccia nuda, di quel colore impreciso che conosci bene: a volte sembra zolfo e a volte sembra ruggine. Poco sotto la cima si vede quella pietraia in cui ci siamo persi quella volta, ricordi? Ho ancora male alle gambe adesso. Non se ne usciva più. E ci eravamo finiti seguendo le indicazioni di quel tale appena arrivato in sezione, come si chiamava? -
- Vattarin. -
- Giusto! La "pietraia Vattarin", se un giorno vogliamo fare uno scherzo a qualcuno lo facciamo passare di lì.
Verso il basso la pietraia è invasa dai cespugli e sotto i cespugli c'è la parete a picco. Ora è del tutto asciutta e quella sì che meriterebbe una bella visita in arrampicata libera. -
Cesare non risponde e Piero si chiede se si è addormentato.
Come sempre i suoi occhi corrono alle lenzuola tirate sopra il petto. Le osserva con attenzione per capire se si muovono. Si accorge di non provare nessuna emozione mentre compie questo controllo, ma non si biasima per questo. è stanco. Non riesce a sentirsi in colpa nemmeno quando, salendo i gradini che portano alla stanza, si augura di entrare e di non trovarlo più.
Cesare dorme. Piero lo guarda ancora per qualche istante, poi rivolge lo sguardo oltre i vetri. La luce accecante gli fa socchiudere le palpebre. Si alza e raggiunge la porta. Inutile rimanere, Cesare dormirà per ore.
- Ciao Cesare, - dice Piero entrando nella stanza - Disturbo? -
Cesare è sveglio e muove la testa verso la voce. Non tiene mai gli occhi aperti, e non solo perché non vede, ma perché ha paura di non fare in tempo a chiuderli quando verrà il momento.
- Scusami per ieri, non ce l'ho proprio fatta a venire, però ho una buona scusa. Non me la chiedi? Te la dico lo stesso. -
Cesare pare divertito e aspetta il resto della storia.
- No, ho cambiato idea, forse non è il caso di darti questa informazione, forse è meglio che la tenga per me. Tu non stai bene e potresti emozionarti troppo. No, fai finta che non ti abbia detto niente e non pensarci più. -
Piero ha tirato in lungo il gioco e sa di aver conquistato tutta l'attenzione di Cesare. Si è preparato quella premessa per strada, provandola persino tra sé e sé, allo scopo di creare una grande attesa. C'è riuscito, ma Cesare non pare interessato. L'unica cosa che il malato desidera da lui è sentire ogni giorno la descrizione della valle e delle sue cime. La notizia però è buona davvero e Piero gliela vuole comunicare.
- Va bene, giusto perché insisti e perché una volta mi hai tenuto la corda in una caduta, te lo dico lo stesso: stamattina mi ha telefonato un giornalista, ma non un giornalista qualunque, uno della Rivista. Vuole che io e te scriviamo una serie di sette articoli sulle nostre vie più difficili. E vuole anche tutte le foto. è o non è una bella notizia? -
Cesare apre la bocca per parlare, ma poi rinuncia. Scuote la testa.
- Ho visto gente più entusiasta. - commenta Piero che non capisce la reazione dell'amico. Cesare misura il silenzio e intuisce di averlo deluso. Decide di investire le energie della giornata per scusarsi.
- Sono troppo stanco. -
- Certo, - risponde fin troppo prontamente Piero. - Infatti pensavo di buttarli giù io gli articoli, a casa, uno per volta, e di leggerteli prima di metterli in bella e spedirli. -
- Piero, -
- Dimmi. -
- Pensi mai di trovarmi morto quando vieni qui? -
- Sì. -
- Bene, ora dimmi cosa vedi fuori, per favore. -
Piero riprende a respirare. Aveva smesso per qualche secondo. Il sangue gli martella le tempie come dopo una corsa in salita. Sente persino un senso di vertigine. Lo domina. Solleva la sedia e la avvicina alla finestra.
- Oggi è brutto - esordisce - Sulla cima della Becca probabilmente piove, le nuvole sono basse e la nascondono completamente. Certi sbuffi di nebbia pendono dal cielo come mammelle di vacca e corrono indipendenti lungo la valle. è tutto più verde con questo tempo. E più lucido anche. Le pietre che riempiono il canalone di sinistra della Becca quasi luccicano tanto sono pulite, mentre i resti della valanga nel canalone di destra si sono quasi completamente sciolti e se non si sono sciolti sono comunque ricoperti di terriccio.
A circa metà altezza, dove c'è la grande cengia obliqua, i larici crescono storti, non me ne ero mai accorto, ma forse oggi, con la pioggia, tutto sembra più vero, più vicino. -
Cesare si è assopito. Piero si alza e si avvicina al letto. Lo guarda a lungo prima di infilarsi il giubbotto.
- Ciao Cesare, piove ancora! -
- Ciao Piero, -
- Siamo in forma oggi o sbaglio? -
Cesare annuisce, poi risponde:
- è sempre così l'ultimo giorno. C'è un miglioramento apparente, poi la corda frega la roccia e zac, si spezza. -
Piero incassa il colpo. è contento che Cesare non possa vedere la sua espressione in quel momento.
Infine ritrova la forza. Gli viene in mente una battuta in risposta, ma non sa se sia ancora il momento per farla. Potrebbe apparire costruita. Se ci pensa troppo, è sicuro, diventa vecchia. Non rispondere sarebbe peggio:
- Ah, bene, così finalmente erediterò la tua attrezzatura. -
Cesare fa segno di sì con la testa e sorride. Piero può continuare.
- In cambio ti racconterò anche oggi la Becca Gialla.-
Piero interpreta il silenzio di Cesare come un consenso e inizia a parlare.
- Si vede poco della montagna oggi. è quasi tutto coperto dalla nebbia e dalla pioggia. Sui pascoli più bassi, gli unici che si scorgono nonostante la pioggia, c'è qualcuno che ha portato fuori le bestie. Oh, ecco là, si è formata una cascatella di scolo proprio sotto l'ultimo salto, dove ci allenavamo una volta con la corda doppia. -
- E il tempo che preferisco. - dice Cesare improvvisamente e Piero quasi si spaventa. Cesare continua:
- La nebbia mi ha sempre aiutato a sognare. Perché dietro ci può essere qualunque cosa: un vallone segreto, la baita di una strega, un burrone, un sentiero nascosto, un bosco fitto, una donna, qualunque cosa.-
Piero pensa che Cesare abbia ragione, tutto quello che non si vede è magico, ha fascino. Aspetta altre parole, ma non ne arrivano. Così come si è accesa, la fiammata si è spenta e Cesare è rimasto svuotato da ogni energia. Uscendo Piero saluta l'amico addormentato.
- Ciao Cesare, anche oggi pioggia e nebbia, sarai contento. -
Piero irrompe nella stanza portando odore di bagnato. Cesare non risponde e Piero si ferma con il giubbotto fradicio sfilato a metà braccia.
Nessuno lo ha avvertito. Nessuno gli ha detto nulla e nonostante i mesi di attesa non è preparato a vedere Cesare con le mani intrecciate sul petto, le scarpe lucide ai piedi e un abito grigio con cravatta nera.
Gli hanno risparmiato solo il fazzoletto intorno alla testa.
Dunque è successo.
è contento? Forse un poco sì. Per Cesare, per se stesso, per tutti.
Però adesso Cesare non c'è più e lui è rimasto solo.
Va alla finestra. Con un gesto automatico prende la sedia che nessuno ha spostato dal giorno prima e la sistema vicino al letto. Si siede, poi ci ripensa e torna alla finestra. Getta un'ultima occhiata al di là dei vetri.
è una pessima giornata.
Tutto è grigio e bagnato. Grigio il cielo, grigio l'asfalto della via, grigie le automobili, grigie le facce delle persone che si muovono sotto i neon negli uffici del palazzo di fronte. A Piero non piace la pioggia e sopporta male la città. Milano, in particolare, quando piove come oggi, fa schifo.
molto bello e commovente - Adriana
RispondiEliminafa parte di una raccolta che si intitola Ultimo grado, Vivalda 1995
RispondiElimina