Gabriele tornava a casa stanco, ma
molto fiero del suo nuovo lavoro di aiuto doppiatore di astronauti,
una di quelle professioni che prima di una certa data non esisteva,
ma che ora, invece, andava per la maggiore. Era ancora più fiero di
aver ottenuto il posto senza raccomandazioni. Aveva risposto ad un
annuncio apparso sul giornale. Tutto qui.
E adesso cresceva, perché il capo, al
Centro Doppiaggio Astronauti lo aveva congedato il primo giorno
dicendogli: “Pensi a crescere in fretta”.
Stava proprio pensando a crescere
quando arrivò a casa. Gabriele viveva solo, per questo non aveva
bisogno di molto spazio, ma siccome non gli piacevano i monolocali,
aveva diviso la cucina dal letto con una libreria sulla quale teneva
la collezione completa de “La voce di Gagarin”.
Arrivò a casa e aspettò.
Ornella entrò ventisette secondi dopo,
scusandosi per il ritardo. Per essere sicura di essere perdonata, gli
domandò che ora fosse su Marte. Era un metodo che funzionava sempre.
Gabriele consultò il suo orologio da polso con l'ora di tutto
l'universo e con grande orgoglio rispose che su Marte era ieri alle
tre meno cinque.
In quel momento, ora terrestre, suonò
la postina Felicita. Gabriele aprì e ricevette un telegramma. Era un
messaggio del capo che lo richiamava con urgenza al Centro Doppiaggio
Astronauti, perché il doppiatore titolare si era macchiato in un
corpo a corpo con la macchina del caffè, il vice era in ferie e
quella sera era previsto il primo sbarco umano sulla Luna. Stop.
Felicita domandò se si trattasse di
cattive notizie.
“No” rispose Gabriele “Al
contrario: è un'ottima occasione per crescere”.
Si scusò con Ornella e le disse di non
aspettarlo, raccomandò al pull-over di non infeltrirsi nell'ammollo,
inforcò la bicicletta e partì.
Il Centro Doppiaggio Astronauti era in
fermento. Mancava pochissimo all'allunaggio e i bicchieri di carta
con l'aranciata non erano ancora pronti; colpa del litigio avvenuto
nel pomeriggio tra la macchina del caffè e quella delle bibite per
questioni di una spina doppia. Giovanni, il collega che era
intervenuto per interporre i suoi buoni uffici, aveva ricevuto una
spruzzata di cappuccino sulla camicia ed era dovuto correre a casa
prima che asciugasse. La macchina del caffè, per attenuare il senso
di colpa, ronzava tranquilla, distribuendo ottimi caffè, cioccolate
e persino tramezzini, cosa che creava anche qualche problema coi
sindacati.
Il capo era nervoso, molto nervoso e
particolarmente cattivo. Guardava male l'interprete di inglese e
doveva aver appena fatto una bella tirata all'addetto ai bip, visto
che questi non alzava lo sguardo dal monitor e aveva le cuffie in
testa tutte spettinate. Gabriele si sedette alla sua postazione di
doppiatore, indossò le cuffie e schiacciò il bottone. Era
emozionatissimo. Fino ad allora aveva sempre e soltanto doppiato
astronauti in orbita e, per di più, in telecronaca registrata.
Quella sera avrebbe invece parlato in diretta a milioni e milioni di
telespettatori, imprestando la sua voce niente di meno che
all'astronauta americano Braccetti, quello che per primo avrebbe
posato il piede sulla Luna. Provò a indovinare quali frasi avrebbe
potuto dire Braccetti, ma fu interrotto dall'addetto ai bip che
disse: “bip”.
Era il segnale: iniziava la fase di
allunaggio. Il capo si sedette sulla poltrona vicino a Gabriele e gli
rivolse un'occhiata di totale sfiducia. Gabriele rispose con un
sorriso timido; sapeva che doveva ancora crescere tanto. Di sicuro
cresceva la tensione. Più il modulo lunare si abbassava, più
l'addetto ai bip stonava i suoi “bip”. Ad un tratto si sentì la
voce di Braccetti. L'interprete tradusse, Gabriele sudò.
“Mancano pochi metri” disse nel
microfono a milioni e milioni di telespettatori.
Il capo annuì. Era fatta. Aveva detto
le sue prime parole in diretta e le aveva dette bene. Si sentì
crescere un po'.
“Bip” disse l'addetto ai bip.
Gabriele si concentrò. De Paoli,
l'altro astronauta americano, parlò a sua volta, l'interprete
tradusse e tutti fissarono Francescoli, il doppiatore anziano che
imprestava la voce a De Paoli. Francescoli era una sicurezza per il
Centro Doppiaggio Astronauti. Eppure anche Francescoli era
emozionato; si capiva dal suo pallore, dall'occhio fisso e dal torace
che non si alzava e abbassava secondo la respirazione.
“Francescoli!” tuonò il capo. Ma
Francescoli proprio non respirava più e chissà da quanto tempo. Il
capo in persona rimosse la salma e sostituì il defunto alla
postazione. Si fece ripetere la traduzione dall'interprete di
inglese.
“Mancano pochi metri” suggerì
questi.
“Mancano pochi metri” ripeté il
capo al microfono.
“Bip bip bip” disse l'addetto ai
bip.
Poi fu di nuovo la voce di Braccetti a
irrompere nella sala doppiaggio. L'interprete tradusse alla lettera:
“Fa caldo oggi eh?”
Gabriele guardò il capo che scosse la
testa incredulo e sconsolato, poi decise di improvvisare qualcosa di
meno banale.
“Mancano pochi metri” disse.
Il capo fece OK con la mano. Gabriele
si sentì crescere ancora.
“Bip” disse l'addetto ai bip.
D'un tratto si intromise la voce di
Houston, che domandò quanti metri mancassero.
“Mancano pochi metri” dovette
rispondere Gabriele doppiando Braccetti.
La sabbia della Luna, intanto, appariva
sempre più vicina, grigio perla su fondo grigiastro.
Mancavano pochi metri all'allunaggio
quando Houston domandò nuovamente quanti metri mancassero. Il capo
fece un gesto volgarissimo con entrambe le mani, mentre Braccetti
rispondeva, l'interprete traduceva e Gabriele doppiava:
“Mancano pochi metri”.
“Bip”
La navicella si posò sulla Luna e si
arrestò.
“Bip bip bip bip bip” disse
l'addetto ai bip preso dall'entusiasmo.
“Houston ci sentite?” dissero
Braccetti e poi Gabriele.
Da Houston dissero che li sentivano
forte e chiaro, ma che la smettessero di parlare che era ora di
uscire.
“Bip?” osò l'addetto ai bip.
Braccetti disse che stava aprendo il
portello e si preparava a scendere.
Gabriele capì e iniziò a trasmettere
senza aspettare la traduzione da parte dell'interprete di inglese, il
quale ebbe un gesto di stizza e guardò il capo affinché redarguisse
il vice aiuto doppiatore. Ma il capo non gli badò.
Braccetti scese un gradino della
scaletta a pioli del modulo lunare. Si fermò e domandò al compagno
De Paoli quanto mancasse.
“Mancano pochi gradini” disse De
Paoli prontamente doppiato dal capo.
“Bip”
“Houston domandò quanto mancava e
Braccetti rispose che mancavano pochi gradini.
Da Roma, il giornalista della Rete
nazionale domandò al Centro Doppiaggio quanto mancasse.
“Mancano pochi gradini” rispose
Gabriele accorgendosi troppo tardi che in realtà Braccetti non aveva
detto nulla. Ma andava tutto bene. Sui monitor, la discesa di
Braccetti era maestosamente lenta. Mancavano pochi gradini: tre...
due... uno...
“Bip!”
Silenzio.
Poi Braccetti disse alcune parole, le
prime parole del primo uomo sulla Luna.
Si sentirono forte e chiaro, ma
l'interprete non tradusse e si tolse le cuffie. Il capo lo guardò,
la macchina del caffè lo guardò, Gabriele lo guardò. Forse
l'interprete era ancora offeso per prima?
“E allora?” domandò l'addetto ai
bip.
“Non posso” disse il traduttore con
la disperazione aggrappata alle corde vocali.
“Traduci!” intimò il capo,
eruttando lava dalle fauci.
Il traduttore si fece piccolo piccolo e
riparandosi la testa con le braccia, parlò:
“Ha detto... Braccetti ha detto...”
“Cosa cazzo ha detto?” domandò il
cadavere di Francescoli.
“Braccetti ha detto: merda, ho
pestato una merda”
Il capo scoprì i denti enormi da
licantropo e squadrò i suoi collaboratori, uno per uno, alla ricerca
di una vittima. L'addetto ai bip emise un suono incomprensibile e si
chinò sotto la consolle per allacciarsi le pantofole. La macchina
del caffè cominciò a riordinare tutti i bicchierini di carta,
l'interprete di inglese sfogliava convulsamente il suo dizionario
ripetendo: “Ha proprio detto merda quello stupido, ha detto merda!”
Quelli delle onoranze funebri La
Cattolica smisero di ricomporre il corpo di Francescoli.
Gabriele era al suo posto con le cuffie
un po' storte sulla testa. Il capo incombeva si di lui con l'alito
che sapeva di guarnizione bruciata. Il mondo intero aspettava.
Eppure, nonostante il terrore di cui
era preda, Gabriele capì che quella era l'occasione per crescere e
che non ne avrebbe avute altre. Si alzò in piedi e avvicinò il
microfono alla bocca. Il capo si immobilizzò come un vampiro di
fronte a una croce di aglio.
Gabriele premette il tasto per
trasmettere in diretta.
Il capo afferrò la sua magnum 357. Era
in piedi sulla poltroncina ed era salito così in alto che il neon
sul soffitto gli rizzava i capelli, nonostante fosse pelato.
Allora Gabriele parlò.
Con tono calmo e solenne, improvvisò
per Braccetti parole che sarebbero state udite da milioni e milioni
di telespettatori.
“Un piccolo passo per un uomo, un
grande passo per l'umanità intera” disse.
La frase fece immediatamente il giro
del mondo e qualcuno da Houston la suggerì a Braccetti che stava
passeggiando sulla Luna con le mani in seconda, fingendo di aver
perso il contatto.
Il capo baciò a lungo Gabriele,
ringraziandolo a nome delle Telecomunicazioni Mondiali per la sua
bella frase che nel frattempo era già stata scolpita su pezzetti di
marmo e venduta ai turisti nelle piazze di tutto il mondo. Quelli
della Cattolica uscirono dalla sala a braccetto con Francescoli,
mentre l'interprete di inglese intratteneva l'addetto ai bip su
alcuni aspetti del Contratto Nazionale di Lavoro Doppiatori.
Gabriele era cresciuto un po'.
A casa, Ornella, felice, piangeva.
Scritto nel lontanissimo 1988 e pubblicato nel 94 o 95 sull'agenda diario "Il Diventone" edita da Seven Spa
Nessun commento:
Posta un commento