Chiedeva memoria. Diceva di non averne abbastanza. Mi domandava spazio,
altrimenti non avrebbe potuto - avvertiva - installare certi
aggiornamenti. E così, infastidito dai continui avvisi che si
succedevano con la stessa ottusa insistenza di certi operatori di call
center, un giorno mi sono deciso e l'ho accontentato. Svuota qui,
cancella là. In breve mi sono trovato a premere con sadica pressione su
questo e su quello. Cancellare? Sì! Siete sicuri? Sì!
È andata così: preda di un orgasmo crescente, cancellavo, svuotavo, distruggevo e intanto a voce alta esprimevo la mia frustrazione: “Va bene adesso? Hai abbastanza spazio? Ne vuoi ancora?”
No, non gli bastava: nonostante la strage perpetrata, per i nuovi aggiornamenti lo spazio non bastava ancora e certe applicazioni non potevano funzionare.
Sconsolato e rassegnato, ho riconquistato un poco di calma immaginando di rivolgermi all'assistenza. Ma in quel momento un piccolo dubbio si è mostrato. L'ho visto solo con la coda dell'occhio, ma l'ho visto. Ho pensato per un istante di aver fatto troppo, di aver esagerato. Come un chirurgo che rivivendo nella mente stanca l'operazione appena conclusa, si rende conto di aver inciso troppo profondamente e teme di aver arrecato un danno al paziente. Mi sono quindi rivisto in quel minuto di follia mentre eliminavo delle icone che, come unica colpa, ostentavano una pingue dimensione. Tra quelle, anche una il cui nome, così semplice e immediato, avrebbe dovuto farmi riflettere: “contatti”.
Ne occupava di spazio quell'applicazione! Un mega e forse più! Birra fresca per la sete di memoria del misero telefono. Però quel nome... il dubbio cresceva e io lo conoscevo bene. È quello che mi ronza intorno con pigri cerchi quando so - non ancora coscientemente - di aver fatto qualcosa di sbagliato. Io lo vedo così, come un grumo che descrive delle orbite, che definirei basse. Per capirci, se io sono in piedi, il pensiero mi nuota intorno, al largo, all'altezza delle caviglie. Quando si trova dietro di me non lo vedo e non lo sento, ma quando passa davanti e le orbite si fanno più strette e più alte, è impossibile non notarlo. E non molla, non molla mai. Nessuno molla mai: non molla il telefono, non mollano i call center, non mollano i sensi di colpa: solo io cedo. Cedo e alla fine lo prendo in considerazione.
Il dubbio di aver sbagliato. Perché poi chiamarlo dubbio quando ormai è una certezza? Certo che non dovevo eliminarlo quel programma che si chiamava “contatti”. Come è potuto venirmi in mente? Perché non ho contato fino a tre, non dico dieci, ma almeno fino a tre prima di premere ELIMINA? Lo sapevo quello che stavo facendo. Quindi? Adesso non resta che verificare, ma c'è poco da scoprire.
Apro la rubrica e scopro con un sollievo che non credevo possibile che i nomi e i numeri ci sono ancora! Mi sembra di aver ricevuto la grazia quando il boia aveva già posato la mano sulla leva che alimenta la sedia elettrica. Non li ho persi i miei numeri di telefono! Sono ancora lì!
Ma il sollievo è effimero e dura pochi secondi. I nomi rimasti sono forse dieci, dodici a dir tanto e sono quelli che si erano nascosti, chissà perché, in qualche memoria secondaria.
Saranno stati tre o quattrocento i miei contatti e non ci sono più.
Va bene. Ce li faremo ridare. Amici, conoscenti, parenti... tramite le email li richiederò e in qualche settimana avrò ricostruito l'archivio. È un danno più che altro per il morale. Una spia che si è accesa per avvertirmi che il mio equilibrio è in riserva.
Improvvisamente, però, mi rendo conto che, insieme ai numeri davvero utili, che saranno stati al massimo una cinquantina, si sono estinti anche plotoni di sconosciuti. “Madre Bu” Ma chi era “Madre Bu”? E “Piero Castel”? "Castel” sta per Castellamonte? Conosco un Piero a Castellamonte? Io non riconosco i volti delle persone, figuriamoci se ricordo i nomi. Non tutto è male, quindi: la cancellazione ha igienizzato la memoria del telefono e anche la mia.
C'erano però dei nomi, che conoscevo benissimo, che mi dispiace aver perso, nonostante fossero i più inutili di tutti. Quei numeri non li avrei mai utilizzati, né avrei mai ricevuto chiamate da loro. Erano quelli di Susanna, Michela e Marina. Li ho conservati per anni e sono sopravvissuti a revisioni e cambi di telefono. Si presentavano ogni tanto, in occasione di qualche ricerca. Digitavo “Su” e spuntava Susanna. Non era lei che cercavo, ma mi faceva piacere vederla apparire tra i suggerimenti, visto che sui sentieri della Val Soana non l'avrei più incontrata. Digitavo “M” e magari saltavano fuori Michela e Marina.
Perché tenere nella memoria del telefono nomi e numeri di un'amica e di due carissime cugine che non ci sono più?
Io non li avrei mai cancellati. È stato un dito isterico a recidere, in vece mia, quel legame.
Un amico, al quale ho raccontato questa storia, evidentemente ascoltandomi con stoica attenzione, nonostante la noia che l'aneddoto porta con sé, alla fine mi ha detto: “le hai lasciate andare”.
Ho sorriso con lui, ringraziandolo per il pensiero, che è moto bello. Mi piace pensare che sia così. In realtà non è vero che le ho lasciate andare: Susanna, Marina e Michela continuano a essere con me, tanto quanto prima, anche se non ci telefoniamo mai.
È andata così: preda di un orgasmo crescente, cancellavo, svuotavo, distruggevo e intanto a voce alta esprimevo la mia frustrazione: “Va bene adesso? Hai abbastanza spazio? Ne vuoi ancora?”
No, non gli bastava: nonostante la strage perpetrata, per i nuovi aggiornamenti lo spazio non bastava ancora e certe applicazioni non potevano funzionare.
Sconsolato e rassegnato, ho riconquistato un poco di calma immaginando di rivolgermi all'assistenza. Ma in quel momento un piccolo dubbio si è mostrato. L'ho visto solo con la coda dell'occhio, ma l'ho visto. Ho pensato per un istante di aver fatto troppo, di aver esagerato. Come un chirurgo che rivivendo nella mente stanca l'operazione appena conclusa, si rende conto di aver inciso troppo profondamente e teme di aver arrecato un danno al paziente. Mi sono quindi rivisto in quel minuto di follia mentre eliminavo delle icone che, come unica colpa, ostentavano una pingue dimensione. Tra quelle, anche una il cui nome, così semplice e immediato, avrebbe dovuto farmi riflettere: “contatti”.
Ne occupava di spazio quell'applicazione! Un mega e forse più! Birra fresca per la sete di memoria del misero telefono. Però quel nome... il dubbio cresceva e io lo conoscevo bene. È quello che mi ronza intorno con pigri cerchi quando so - non ancora coscientemente - di aver fatto qualcosa di sbagliato. Io lo vedo così, come un grumo che descrive delle orbite, che definirei basse. Per capirci, se io sono in piedi, il pensiero mi nuota intorno, al largo, all'altezza delle caviglie. Quando si trova dietro di me non lo vedo e non lo sento, ma quando passa davanti e le orbite si fanno più strette e più alte, è impossibile non notarlo. E non molla, non molla mai. Nessuno molla mai: non molla il telefono, non mollano i call center, non mollano i sensi di colpa: solo io cedo. Cedo e alla fine lo prendo in considerazione.
Il dubbio di aver sbagliato. Perché poi chiamarlo dubbio quando ormai è una certezza? Certo che non dovevo eliminarlo quel programma che si chiamava “contatti”. Come è potuto venirmi in mente? Perché non ho contato fino a tre, non dico dieci, ma almeno fino a tre prima di premere ELIMINA? Lo sapevo quello che stavo facendo. Quindi? Adesso non resta che verificare, ma c'è poco da scoprire.
Apro la rubrica e scopro con un sollievo che non credevo possibile che i nomi e i numeri ci sono ancora! Mi sembra di aver ricevuto la grazia quando il boia aveva già posato la mano sulla leva che alimenta la sedia elettrica. Non li ho persi i miei numeri di telefono! Sono ancora lì!
Ma il sollievo è effimero e dura pochi secondi. I nomi rimasti sono forse dieci, dodici a dir tanto e sono quelli che si erano nascosti, chissà perché, in qualche memoria secondaria.
Saranno stati tre o quattrocento i miei contatti e non ci sono più.
Va bene. Ce li faremo ridare. Amici, conoscenti, parenti... tramite le email li richiederò e in qualche settimana avrò ricostruito l'archivio. È un danno più che altro per il morale. Una spia che si è accesa per avvertirmi che il mio equilibrio è in riserva.
Improvvisamente, però, mi rendo conto che, insieme ai numeri davvero utili, che saranno stati al massimo una cinquantina, si sono estinti anche plotoni di sconosciuti. “Madre Bu” Ma chi era “Madre Bu”? E “Piero Castel”? "Castel” sta per Castellamonte? Conosco un Piero a Castellamonte? Io non riconosco i volti delle persone, figuriamoci se ricordo i nomi. Non tutto è male, quindi: la cancellazione ha igienizzato la memoria del telefono e anche la mia.
C'erano però dei nomi, che conoscevo benissimo, che mi dispiace aver perso, nonostante fossero i più inutili di tutti. Quei numeri non li avrei mai utilizzati, né avrei mai ricevuto chiamate da loro. Erano quelli di Susanna, Michela e Marina. Li ho conservati per anni e sono sopravvissuti a revisioni e cambi di telefono. Si presentavano ogni tanto, in occasione di qualche ricerca. Digitavo “Su” e spuntava Susanna. Non era lei che cercavo, ma mi faceva piacere vederla apparire tra i suggerimenti, visto che sui sentieri della Val Soana non l'avrei più incontrata. Digitavo “M” e magari saltavano fuori Michela e Marina.
Perché tenere nella memoria del telefono nomi e numeri di un'amica e di due carissime cugine che non ci sono più?
Io non li avrei mai cancellati. È stato un dito isterico a recidere, in vece mia, quel legame.
Un amico, al quale ho raccontato questa storia, evidentemente ascoltandomi con stoica attenzione, nonostante la noia che l'aneddoto porta con sé, alla fine mi ha detto: “le hai lasciate andare”.
Ho sorriso con lui, ringraziandolo per il pensiero, che è moto bello. Mi piace pensare che sia così. In realtà non è vero che le ho lasciate andare: Susanna, Marina e Michela continuano a essere con me, tanto quanto prima, anche se non ci telefoniamo mai.
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