lunedì 29 maggio 2017
Still life
Ho visto un film bellissimo, delicatissimo, dolcissimo nella sua tristezza. Non ne avevo mai sentito parlare, non ne sapevo niente. E non sapevo nulla neppure di Uberto Pasolini, il regista. È stato un caso che passasse su RAI 5 ieri in terza serata, a conclusione di una domenica abbastanza di merda. È come quando non ti aspetti più niente dalla vita e all'improvviso accade qualcosa. Ora, non voglio esagerare se no poi non vi piacerà. Certo non è una commedia, credo che abbia vinto alcuni premi a Venezia tra cui il Leone per il film più triste e drammatico della rassegna. Lo merita senz'altro, ma trovo che la tristezza possa essere sexi e sia benvenuta quando è piena di vita e di poesia. John May, il protagonista, ha un viso che non si dimentica. Ce l'ho qui davanti agli occhi mentre scrivo e se ne scrivo così è perché da questa storia delicata e geniale non ne sono ancora uscito. Capita con certi film o certi libri. Le emozioni vere, quelle dense, stanno lì a bollire a fuoco lento come passata di pomodoro per giorni, a volte per settimane. Mi chiedo se non sia il modo che hanno per cercare di entrare nel profondo e rimanerci. Forse sì. In tal caso spero di essere ancora abbastanza permeabile nonostante gli anni, i malanni e i danni. Leggo su mymovies che in totale "Still life" ha incassato poco meno di un milione di euro al cinema contro i 23 milioni che a suo tempo incassò "Natale a Miami". Ecco: questo sì che è davvero triste, ma triste triste triste.
venerdì 19 maggio 2017
Quando diventai campione di pallanuoto
A 13 anni, ai miei compagni di
giochi che erano i soldatini e il lego, aggiunsi i romanzi di Urania. Quando
non giocavo, mi procuravo i primi, feroci mal di testa standomene
tutto storto sul letto a leggere.
Questo a mia madre non piaceva.
Archiviata la parentesi presso gli scout, un giorno mi disse:
“Giovanni fa pallanuoto, perché non ti iscrivi anche tu?”
Io risi, perché sapevo nuotare
soltanto con le pinne.
Lei disse che avrei imparato e mi
ritrovai iscritto al Centro Sportivo Fiat.
Va detto che io non avevo nessuna
voglia di fare pallanuoto, ma dirlo a lei non servì: mi ritrovai a
fare allenamento in corso Moncalieri, dall'altra parte del Po, per
chi non è di Torino, dall'altra parte del mondo per me che abitavo a
Santa Rita.
Una breve digressione. Chi è che si
iscrive a un corso di pallanuoto? Diciamo la verità: pochi. Ci sono
gli appassionati, ma in genere pallanuotisti si diventa quando, dopo
anni di pre-agonismo e agonismo nel nuoto, appare chiaro che non ci
sono i numeri per diventare campioni.
I miei compagni di corso, dunque,
venivano dalle gare di nuoto. Io dai soldatini e dai romanzi di
Urania.
Torneo estivo. Piscina Fiat di corso Moncalieri |
Ho un ricordo del primo giorno.
L'allenatore si chiamava Mattia Aversa e mi teneva d'occhio perché
aveva intuito che io, dall'altra parte della piscina non ci sarei mai
arrivato.
Mi diede qualche rudimento sul nuoto,
mi affidò un pallone giallo e mi disse di battere le gambe tenendo
quello davanti a me. Fu così che iniziai a muovermi nell'acqua
mentre i miei compagni sfrecciavano su e giù, sommando vasche su
vasche. Tra quelli del mio anno ce n'era uno che si chiamava
Agagliate, un cognome da casello della A4, ma una velocità da
Freccia rossa, un altro si chiamava Macchia ed era una saetta. Poi
c'erano i Capobianco, di pura origina napoletana, come la tradizione
della pallanuoto impone. C'era il mio amico Giovanni, quello che
secondo mia madre non avrei avuto difficoltà ad emulare. Tutti
imprendibili e quando, in partita, mi attaccavo alle loro caviglie
per non lasciarli scappare, o mi beccavo un calcio in faccia o
l'arbitro mi espelleva.
Fortuna vuole che negli anni 70 non
fosse ancora stato inventato il bullismo viceversa sarei stato una
vittima perfetta.
Ho altri ricordi di quel primo anno e,
tra tutti, uno dell'ultimo giorno, prima della pausa estiva. Ci fu un
torneo serale, riflettori accesi, aria tiepida, genitori sugli spalti
della piscina. Quando fui mandato in acqua, nel quarto e ultimo
tempo, gli avversari si rinfrancarono. L'uomo in più, nella
pallanuoto è uno schema importante, forse l'unico che ci sia. E con
me in vasca loro avrebbero avuto l'uomo in più, perché io ero, per
definizione, l'uomo in meno. Insomma un'occasione per fare strage di
reti.
Sapendo quale fosse la mia velocità,
nicchiavo a centro vasca, in modo da ripiegare per tempo quando
perdevamo la palla, ma nel corso di un'azione mi ritrovai avanti, ma
avanti avanti e ricevetti persino la palla e ci fu anche chi mi
urlava “Tira!” “Tira cazzo! Tira!” Ma dicevano a me? E sì
che dicevano a me, ero io ad avere la palla sulla linea dei quattro
metri e non ero nemmeno marcato. In porta di là forse c'era Bodrone,
che parava come un portone e aveva le braccia talmente lunghe che
quando camminava si poteva tirare su i calzini. O forse c'era un
altro portiere, non ricordo. Ricordo però che avevo 'sta palla in
mano, la calottina storta che mi tappava un occhio, il fiatone, la
paura di non farcela a tornare in tempo, la luce dei riflettori negli
occhi, l'acqua alla gola (letteralmente) e la palla in mano che
pesava una cosa esagerata. L'adrenalina o ti fa scattare e moltiplica le energie o
ti pietrifica e ti perde. Io sono uno che si pietrifica. Sono il
coniglio davanti ai fari del Tir che ti corre addosso.
“Ma tira cazzo!” Forse lo urlavano
anche dalle tribune, non saprei. Era fine stagione e io non avevo
segnato nemmeno un gol, nemmeno nelle partite di allenamento. I miei
compagni invece tenevano il conto e il penultimo ne aveva almeno una
ventina, il primo, il maschio alfa, almeno duecento.
“Tira!”
Non si capiva perché non fossi marcato
da nessuno in quell'azione, forse non mi avevano visto, mezzo
affondato come avrebbe fatto la Costa Concordia nel secolo
successivo. Qualcuno però cominciò a preoccuparsi e cominciarono a
urlare anche gli avversari. “E quello?” Sottinteso: "chi lo marca?"
Qualcuno spuntò dalla schiuma e si diresse verso di me con la
velocità di una moto d'acqua. Mi figurai travolto dalla prua a
bulbo, massacrato dalle gomitate, affondato come il Titanic e
soprattutto immaginai la fuga dell'avversario con la mia palla verso
la porta opposta, con sua massima gloria e mia somma umiliazione.
Allora alzai quel braccio debole e tremante. La palla lasciò
l'acqua. Il portiere (non era mica Bodrone, sono quasi sicuro che
fosse un altro) si mise in pressione, alzai ancora di più il braccio
armato e di conseguenza, pur avendo fatto molti progressi in
acquaticità, affondai fino agli occhi (all'unico occhio, l'altro,
ricordo, era coperto dalla calottina). Azzardai due o tre finte che
non preoccuparono affatto il portiere, poi guardai l'incrociatore che
mi stava arrivando addosso avanti tutta e il panico fece il resto.
Invece di tirare forte e teso mirando un angolo della porta come
sarebbe stato giusto vista la posizione, feci partire una palombella
(un pallonetto morbido) che si usa solo quando il portiere è
spiazzato. Invece era piazzatissimo. Per questo non se l'aspettava. La
parabola si alzò, poi si abbassò ed entrò dove doveva entrare.
Gol.
In tribuna, qualcuno disse “Quello è
mio figlio”.
Cus Torino, sono quello in mezzo in basso (peloso) |
L'allenatore approfittò del gol per
fare le sostituzioni quindi per fare uscire me. Ma che importava?
Rimasi in forza (si fa per dire) al
Fiat per tre anni. Non diventai mai veloce, ma supplivo con altre
doti. Quali? Non ricordo. La prima squadra del Fiat pallanuoto
giocava in serie A. Voglio dire: se fosse caduto l'aereo con la prima
squadra e poi quello con le riserve, se tutti gli juniores fossero
morti di ebola e gli allievi si fossero ammazzati di seghe, allora
sarebbe toccato a me scendere in vasca e giocare in serie A.
Non accadde mai nulla del genere, anche
perché le trasferte si facevano in pullman.
All'età di diciassette anni, il Fiat mi cedette gratuitamente al Cus Torino, (sai che
regalo...)! che militava in serie C. Lì non c'erano squadre
giovanili, solo la prima squadra. Insomma, ero un giocatore di serie
C, quelli che nel calcio stanno in due in una figurina. L'allenatore
era ligure e si chiamava Piccardo. Mi diceva solo una cosa, con un
pesante accento di Bogliasco: “Aldo Aldo, ricorda: “Bacco tabacco
e venere riducono l'uomo in cenere”. Me lo diceva un po' a cazzo
perché sì, fumavo, ma non bevevo e le ragazze proprio non me la
davano.
I rapporti con i compagni al Cus erano
diversi. Qui c'era gente di tutte le età. C'era Puleo, un siciliano che, non so perché, ma non mi ha mai picchiato, pur se gli si leggeva
nello sguardo la voglia di farmi male. C'erano vari personaggi e
c'erano anche Claudio e Mamo, che furono i miei migliori amici di
quel periodo. Insomma, cominciai a divertirmi anche se in serie C il
primo gol devo ancora segnarlo. Ma non si sa mai.
martedì 16 maggio 2017
Fate presto e mirate al cuore
Il primo capitolo, direi "elettrizzante"
1
Dopo qualche minuto, la donna si
rilassò un poco o, per lo meno, iniziò a fingere.
Il sorriso che rivolse all’uomo
voleva esprimere un buon grado di complicità e sembrava quasi
autentico. Quasi, perché invece la poveretta era terrorizzata. Lo
sarebbe stato anche lui se si fosse trovato al suo posto.
Non era stupida: sapeva che mostrarsi
impaurita sarebbe stato come ammettere tutto e accettare il castigo.
Dubbi, comunque, non ce n’erano:
aveva sbagliato e quelli del Personale avevano deciso per una
sanzione esemplare. L’avevano anche avvertita, come erano soliti
fare. Per questo si era presentata all’appuntamento e ora si
trovava nuda, immersa in una vasca di acqua bollente, con quell’uomo
che la osservava da vicino, seduto sui talloni.
Salvatore Nicosia rimboccò la manica
destra della camicia senza fretta, poi immerse la mano ed ebbe
conferma di ciò che immaginava: l’acqua scottava. Se la donna
avesse avuto la coscienza pulita avrebbe protestato. Come poteva
resistere a quella temperatura? La osservò con più attenzione: la
pelle alla base del collo era arrossata, a larghe chiazze, e così
anche sul petto. Teneva le mani accoppiate in grembo per coprirsi là
dove era completamente rasata. I seni però erano a disposizione,
appena sotto la superficie. A Nicosia non piacevano: troppo gonfi e
sferici, frutto palese di una mastoplastica effettuata al risparmio.
Non aveva mai toccato seni al silicone ed era curioso.
Appoggiò la mano sopra il destro e strinse un po’. Poi passò
all’altro. Le punte, indefinite, tinta su tinta, non risposero in
nessun modo. Era per via della temperatura troppo elevata dell’acqua?
O perché la paura annullava ogni altra sensazione?
La mano scivolò lungo il ventre, fino
a incontrare le barricate che la donna aveva improvvisato con i polsi
stretti tra le cosce. Senza guardarla, solamente con la pressione
della mano, le fece capire che la resistenza non era gradita. Lei
cedette e, aprendosi, concesse qualsiasi cosa.
Nicosia arrivò al caposaldo che lei
aveva così poco eroicamente difeso, vi transitò sopra ma non si
soffermò, risalendo invece l’interno di una gamba fino al
ginocchio, finalmente fuori dall’acqua bollente.
La donna cercò di leggere il suo
sguardo per capire che cosa la aspettasse, ma lui le negò ogni
contatto con gli occhi. Avrebbe dovuto sorridere per tranquillizzarla
ma non ne aveva voglia. Continuò a carezzarla in quel modo per
qualche minuto ma non appena cessò, si accorse che si era
irrigidita, come faceva lui quando il suo dentista cambiava attrezzo
e gli ordinava di spalancare la bocca. Sì, aveva ancora paura.
Il bagno era luminoso e completamente
piastrellato color beige.
Sarebbe uscita parecchia acqua e
Nicosia provò a immaginare che cosa avrebbe pensato la donna che
rifaceva le camere. Chissà perché poi doveva essere una donna.
Magari era un uomo, un peruviano. Ne aveva già visti di uomini
lavorare negli alberghi.
Seguendo una qualche sua idea, la donna
inarcò il bacino, offrendo il sesso appena sotto un velo di acqua.
Nicosia non se lo aspettava. Chi credeva di prendere in giro? Per
qualche momento la assecondò, poi risalì con esasperante lentezza
fino alla gola e la afferrò, trattenendola in una sola mano. La
donna spalancò gli occhi e cessò di respirare. Il corpo rimase
immobile, sospeso nell’acqua. Nicosia allentò la presa e ritirò
la mano. Non aveva stretto e infatti non aveva lasciato alcun segno.
Scosse platealmente la testa mentre si drizzava e prendeva uno degli
ospitini per asciugarsi il braccio.
La donna parve rilassarsi, questa volta
senza fingere.
«Cosa credevi di fare, eh?» domandò
Nicosia rompendo il silenzio.
«Lo so...»
«Se lo sapevi perché l’hai fatto?»
Il tono, che poteva essere quello di un padre con una figlia
disobbediente, contrastava con le carezze che le aveva riservato e
con l’offerta di lei, confermata da quelle ginocchia appoggiate ai
due bordi della vasca.
«Non succederà più» promise.
Nicosia pensò che probabilmente era
vero, ma non era lì per raccogliere il pentimento della donna.
Sganciò la cintura dei pantaloni, ma
si interruppe subito.
«Chiudi gli occhi» le ordinò.
La donna sorrise di sollievo: se la
sarebbe cavata con del sesso. Per essere convincente e dimostrare che
di lei ci si poteva fidare, oltre a chiudere gli occhi, li coprì con
le mani.
Sentì che l’uomo armeggiava con
qualcosa.
«Ehi!» la richiamò lui dopo qualche
secondo.
La donna guardò e si accorse che era
ancora completamente vestito. Era in piedi, un po’ discosto dalla
vasca e teneva sospeso qualcosa sopra di lei.
Istintivamente, unì le ginocchia.
«No!» tentò di urlare quando
riconobbe un asciugacapelli.
Nicosia invece fece segno di sì con la
testa e lo lasciò cadere nell’acqua.
mercoledì 3 maggio 2017
Elle
Nel trailer si dice che Isabelle
Huppert, la protagonsita è candidata all'oscar. Infatti non lo ha
vinto. Il regista, Paul Verhoeven invece ha meritatamente vinto e già
ritirato la statuetta del mio più cordiale vaffanculo. Perché?
Perché ELLE è un film inutilmente prolisso e disordinato. 130
minuti da curare con l'Imodium. È come quando si cucina qualcosa e
ci si accorge che sa di niente. Allora vai di spezie, ma non ci
stanno, allora aggiungi sale, ma troppo, allora una patata per
togliere il salato, poi un po' di pepe, ma per sbaglio macini dello
zenzero. Ma che merda! Un film insulso e improbabile, con la prima
donna al mondo contenta di farsi violentare e una pletora di
personaggi che non sanno cosa fare. Sembra che in Francia siano
diventati tutti deficienti. Forse è così. Vediamo cosa votano
domenica.
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