Mia nonna parlava con la televisione.
Stravedeva per Andreotti e quando qualcuno lo attaccava durante un
dibattito televisivo, lei lo difendeva dalla sedia della sua cucina
urlando al televisore.
Ho sempre sorriso di questa cosa,
chiedendomi se alla sua età (andava per i 90) avrei fatto la stessa
cosa.
Ebbene, ci sono arrivato prima. È
successo ieri, ascoltando gli ultimi capitoli dell'audiolibro Jane
Eyre di Charlotte Brontë.
Quasi ogni sera percorro 7 chilometri
di buon passo tra i viottoli di campagna dietro casa. Mi infilo gli
auricolari e mi immergo nella lettura di un paio di capitoli. Si può
dire “lettura” riferendosi a un audiolibro? Credo di sì. Intanto
perché c'è qualcuno che legge, nel mio caso Silvia Ceschini, alla
quale attribuisco una gran parte di merito nell'avermi trascinato
nella storia, con una lettura precisa e una voce dolce e melodiosa. E
poi perché, comunque, la sera, nel letto, vado avanti per conto mio
con il libro vero e proprio.
I passi che
mi hanno fatto irritare li ho vissuti con un pungente odore di letame
nel naso, scansando migliaia di macchie sospette sulla strada, perse
da qualche trattore sparpagliamerda. “Ma ammazzati!” urlavo. E
poi: “Ma basta, ma mandalo a fare in culo!” “Ma taci, stronzo
di merda!” Questo dicevo nel buio, figurandomi di alzare le mani su
Saint John, uno dei predicatori più insopportabili della letteratura
di sempre. Ora, arrivare a imprecare contro personaggi immaginari
significa due cose: essere ormai rincoglioniti (e ci sta), ma
soprattutto che chi ha scritto ha saputo fare meravigliosamente bene
il suo lavoro. Charlotte Brontë non è celebre
per caso fortuito e questa storia, resa con poetica semplicità è un
capolavoro che merita tutta la fama di cui gode. Chi si diletta a
scrivere, come io faccio, quando ritiene di aver raggiunto una buona
qualità nelle proprie righe, dovrebbe rileggersi qualche pagina a
caso di Jane Eyre utilizzandole come benchmark, anche se, se davvero
si procedesse così, si finirebbe per non riuscire a scrivere più
nulla.