Ho visto Bambino 44 al cinema. Ma ho
fatto anche di peggio: meno di un anno fa ho letto il romanzo da cui
è tratto. Il clima grigio, angosciante degli anni dello stalinismo
è reso davvero bene: mi immaginavo tutto come lo mostra il regista:
ambienti, scene, personaggi. L'Oscar per l'angoscia è suo. Ma solo
quello, perché l'intreccio narrativo è tessuto con lo spago degli
asparagi. Figlio 1 e Figlio 3 che erano con me in sala (va beh che
non sono delle aquile) continuavano a chiedermi spiegazioni perché
diversamente non avrebbero capito una cippa. Io qualcosa dicevo,
qualcosa inventavo perché mi rendevo conto che dovevo giustificare
scelte narrative indifendibili: rivoli e affluenti del racconto che
a) non servono b) sono di troppo 3) rallentano 4) non aggiungono
nulla.
Quando si passa dal libro al film non è
obbligatorio commettere gli stessi errori dello scrittore. Il regista
Daniel Espinosa ha pensato bene di mantenere fedelmente tutte le
boiate scritte da Rob Smith, aggiungendone di sue.
Non so se si è capito: Bambino 44
potete perderlo tranquillamente. Io, invece, ho perso la stima dei
figli e devo trovare il modo per farmi perdonare quelle due ore e
mezza che hanno trascorso coi genitori in sala invece che a
smanettare sui cellulari guardando Mtv. Sarà dura.
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