domenica 3 maggio 2015

Bambino 44

Ho visto Bambino 44 al cinema. Ma ho fatto anche di peggio: meno di un anno fa ho letto il romanzo da cui è tratto. Il clima grigio, angosciante degli anni dello stalinismo è reso davvero bene: mi immaginavo tutto come lo mostra il regista: ambienti, scene, personaggi. L'Oscar per l'angoscia è suo. Ma solo quello, perché l'intreccio narrativo è tessuto con lo spago degli asparagi. Figlio 1 e Figlio 3 che erano con me in sala (va beh che non sono delle aquile) continuavano a chiedermi spiegazioni perché diversamente non avrebbero capito una cippa. Io qualcosa dicevo, qualcosa inventavo perché mi rendevo conto che dovevo giustificare scelte narrative indifendibili: rivoli e affluenti del racconto che a) non servono b) sono di troppo 3) rallentano 4) non aggiungono nulla.
Quando si passa dal libro al film non è obbligatorio commettere gli stessi errori dello scrittore. Il regista Daniel Espinosa ha pensato bene di mantenere fedelmente tutte le boiate scritte da Rob Smith, aggiungendone di sue.

Non so se si è capito: Bambino 44 potete perderlo tranquillamente. Io, invece, ho perso la stima dei figli e devo trovare il modo per farmi perdonare quelle due ore e mezza che hanno trascorso coi genitori in sala invece che a smanettare sui cellulari guardando Mtv. Sarà dura.

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