La metafora della salita in montagna ci sta. Affrontare le 800 pagine di Io confesso è come porsi di fronte a un tremila, partendo da fondovalle. Il pensiero che consola è rappresentato dalla possibilità di mollare a qualsiasi pagina e tornare indietro. Senza questa garanzia non si allacciano nemmeno gli scarponi.
Il sentiero è impervio fin dalle prime pagine, un problema comune a molti libri che partono in forte pendenza Questo, però, si impenna letteralmente: frasi che iniziano in prima persona e finiscono in terza: salti di tempo, di scena, personaggi e luoghi in un solo periodo.
Se siete già stanchi potete smettere di leggere. Se invece, come me, avete ricevuto un'educazione cattolica, sapete che più soffrirete, più grande sarà la ricompensa.
Confermo: il panorama che Jaume Cabré regala a chi arriva in vetta non ha confini. Spuntano all'orizzonte le coste di altri libri che hanno lasciato il segno, ma questo... adesso siamo sulla vetta di questo che pare il più alto, il più bello. Forse domani l'emozione evaporerà e tutto ritornerà nei ranghi della normalità, ma oggi trionfa la bellezza della prosa, la tenerezza di un grande amore e l'invenzione dell'autore che ha saputo creare un linguaggio difficile, impossibile, faticoso e persino idiota, ma assolutamente geniale. Per ora non mi va di scendere. E non scendo.
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