Svolta a
destra, poi di nuovo a destra.
Io la ignoro ma non mi sento mica a
posto. È possibile che mi dispiaccia? È soltanto una voce.
Alla rotonda, prendi la quarta
uscita.
Che sarebbe come dire: torna indietro.
Non lo farò, anzi tiro dritto. Sbaglia senza sapere di sbagliare. Ed
è colpa mia. Non le ho detto che non voglio prendere l'autostrada. E
non ho voglia di fermarmi per cercare l'opzione “evita pedaggi”.
È nascosta in un menu difficile da trovare e ci perderei un sacco di
tempo.
Esci dalla rotonda.
Hai ragione, ma vado dritto. Adesso
sono certo che mi dispiace ignorarla. È un sentimento irrazionale,
(tutti i sentimenti lo sono, ma questo di più) L'ho isolato: sembra
faccia parte della famiglia dei sensi di colpa. Non è questione di
sensibilità, probabilmente ho la corteccia cerebrale consumata come
il battistrada dei miei pneumatici. O forse è davvero sensibilità.
A me, a volte, danno fastidio delle cose che altri nemmeno
considerano.
Tra trecento metri, alla rotonda,
prendi la seconda uscita.
Mi sta dicendo di proseguire dritto e
lo fa con un certo entusiasmo. Sembra che sorrida mentre lo dice. Tra
l'altro, questa volta siamo perfino d'accordo. Ha cambiato idea, ma
non perché abbia ceduto. Ha fatto i suoi calcoli. Evidentemente i
chilometri da percorrere per tornare al casello precedente, sommati
alla tratta autostradale tra i due caselli è superiore alla distanza
che devo percorrere andando avanti fino al prossimo casello. È
logica. La ammiro.
È solo una pausa, ma questo accordo mi
porta un poco di sollievo. Come una pausa, appunto.
Prendi la seconda uscita.
È un piacere accontentarla. Mi ritorna
in mente il tempo in cui pagavo i pedaggi con il bancomat, prima del
Telepass. Anche allora era una voce sintetica a dirmi cosa dovevo
fare. Terminato il pagamento mi diceva: “Arrivederci e grazie”. E
io? Io rispondevo sempre. Con una battuta spiritosa se ero con
qualcuno in macchina. Con un arrivederci se ero da solo. E quando
guidava un altro e non diceva nulla? Mi trattenevo dal suggerire
all'autista di rispondere, per non rendermi ridicolo. Intanto quella
persona perdeva una piccola parte della mia considerazione. Purtroppo
non è possibile perdere soltanto una piccola parte di
considerazione. Quando cade, la stima cade tutta.
Proseguire per 4 chilometri.
Per un po' non dirà più nulla, ma tra
quattro chilometri c'è una nuova entrata per l'autostrada.
Tra trecento metri, alla rotonda,
prendi la prima uscita.
Eccoci. Io andrò dritto, naturalmente.
Esci dalla rotonda.
No.
Non sono uscito dove diceva lei, adesso però c'è un'altra
rotonda; perché non mi dice di percorrerla tutta e tornare indietro?
Si è offesa, stancata, o semplicemente ignora l'esistenza di questa
rotonda? O non si è accorta che ho disobbedito? Se fosse così, mi
dispiacerebbe: non voglio fare le cose di nascosto.
Non parla più. Rallento. Del resto c'è
il limite dei 50.
Ho appena passato un'altra rotonda e
non ha fiatato! Perché? Le luci del casello sono ancora visibili
dietro di noi. Questa rotonda non sembra nemmeno nuova. Deve sapere
che c'è! Di qualcosa!
Dimmi di tornare indietro o di tenermi
leggermente a destra. Di una di quelle cose che mi dici sempre.
Accosto. Una fila di auto ne approfitta
per passare. Se sto fermo, certo non parla. Controllo che ci sia il
segnale gps. Sembrerebbe di sì. E allora?
Riparto, forse se mi muovo, dirai
qualcosa.
Dimmi qualunque cosa: questa volta
obbedirò. Svolto a destra e poi di nuovo a destra? Tu dillo e io
eseguo. Parlami, per favore. Dimmi che sai che sono qui, in un punto
di questa statale nera. Dimmi che conosci le mie coordinate. Nel buio
di questa notte senza stelle che mi possano orientare o dare un po'
di conforto, dimmi che ho una rotta da seguire. Ti prego, dimmi che
devo fare.
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