martedì 17 febbraio 2015

Una bambina sbagliata

Per scrivere di amore e morte e risultare credibili, lo studio non basta, non basta il sentito dire e non basta massacrarsi di film. I fatti si possono inventare e le trame si immaginano. Le emozioni no. Per far soffrire, strappare una risata o costringere qualcuno a pensare occorre aver vissuto; le emozioni non si possono creare, al massimo si trasferiscono, e soltanto certi autori sono abilitati a infonderle nei lettori per via endovenosa.
Avendo letto in tre giorni “Una bambina sbagliata” e seguendo questo pensiero, mi chiedo che minchia di infanzia sia toccata all'autrice, Cynthia Collu. Già averle imposto un nome con “y e h”, (che lei per vendicarsi riversa sulla sua protagonista) può essere una risposta.
Galathea, la bambina sbagliata, cresce in un ambiente famigliare sotto vuoto, in una camera iperbarica nella quale è stato risucchiato via l'amore dei genitori. Si ritrova ad essere come un seme buttato nella terra e mai innaffiato, che deve accontentarsi della nebbia di Milano per germogliare e crescere.
Seguire la vita di Galathea è doloroso, ma non riesco a capire come si possa interrompere l'inseguimento. La sera nel letto, nella sala d'aspetto del medico, (l'età..) in auto (da fermo) mi sono sorpreso non tanto a leggere, quanto a fare il tifo per la bambina prima e la ragazza poi. Un tifo da stadio, quello sdegnato e ruggente della curva che urla contro le punizioni ingiuste.
Lo stile della Collu è piano. Mi piace. Avendo scritto un libro di emozioni e avendo a disposizione materia prima a vagoni, non ha bisogno di inventarsi punteggiature a cazzo o buttare lì frasi mozze per creare pathos (e dai con l'acca). Le basta mettere giù un po' della sua vita e io la ringrazio per averne condivisa un poco con me.

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