Quando un uomo con un fucile da cecchino incontra un uomo con un
Kalašnikov, l'uomo col Kalašnikov
è un uomo morto. È un po' la sintesi di “American sniper”
prodotto e diretto da Clint Eastwood, ambientato in Iraq durante la
guerra.
Tra bello e fatto bene? Fatto bene.
Ambiente ricostruito con cura, dialoghi che si fanno ascoltare senza
banalità. (non li ha scritti Renzi) Montato con buon ritmo: la tensione non molla
mai e durante certe azioni di guerriglia, diventa anche
difficile da tollerare. Soprattutto, Eastwood si tiene a distanza di
sicurezza dai luoghi comuni. Per esempio evita con cura una scena di
parto. Ho un'avversione per i parti nei film (non parliamo di quelli
veri). Non so perché, ma le attrici che fingono di urlare, sudare,
soffiare e tutto quanto mi danno fastidio. Qui la scena stacca quando
la futura madre sente le prime avvisaglie e riprende quando è già a
casa.
Dove cade il film, allora? Non cade.
Però non vola nemmeno. Intanto non si vedono mai le tette, poi è un
film che non arricchisce, non lascia niente; è puro spettacolo. Una presa di posizione contro la guerra io non
ce la vedo. Gli americani sono sempre i soliti bravi
ragazzi pronti a far valere ovunque gli interessi degli Stati Uniti,
pronti a uccidere e a farsi massacrare. Ma lo sapevamo già.
Ricordate Black hawk down di Ridley
Scott? Quello dell'elicottero abbattuto in Mogadiscio? Uguale. Due
storie vere raccontate bene: eroismo, amor di patria, spirito di
corpo, fratellanza, onore, ecc. Basterebbe credere in questi valori per uscire dal
cinema e poter dire di aver visto un capolavoro. A me non riesce.
Nessun commento:
Posta un commento