La storia del cinema abbonda di grandi uomini, per lo più americani, come il grande Tuker o Howard Hughes. Individui geniali che coltivano sogni immensi. Grandi imprenditori che fanno girare il mondo e riescono a far lavorare gli altri con entusiasmo, fede e forza di volontà.
Anche se non sarebbe del tutto sbagliato abbatterli allo stadio placentare e disperderne le cellule staminali nel Seveso, taluni registi si ispirano a queste grandi Figure per girare film. Martin Scorsese, ad esempio, racconta la storia di Howard Hughes in “Aviator”, una pizza (leggi pellicola) farcita di bellissimi attori bravissimi, lungo appena 3 ore. Di Caprio fa bene quel che può, ma non è credibile con quella faccia da bambino naufrago. Nel cast fa un sacco piacere rivedere Alan Alda, il buon vecchio chirurgo protagonista dei telefilm “Mash”, nonché il perfido e sempre più adiposo Alec Baldwin. Qualcuno potrebbe intuire da queste note che il film è così così, ma non è vero: è solo lungo una mezza giornata di troppo. Sullo schermo vedi Di Caprio che delira nel buio per venti minuti e ti chiedi cosa hai fatto di male e cosa sia successo durante il montaggio. Allora immagini Martin Scorsese che deve fare i tagli al film e non ci riesce. Un po’ come se dovesse scolare la pasta: non trova le presine e quando le trova squilla il telefono e quando finalmente qualcuno mette la parola fine è tutto scotto.
Eppure grande successo in America dove “Aviator” ha vinto 3 golden globe e altri premi. Ottima critica anche in Italia dove viene raccomandato con 4 palline. In verità due palle sono più che sufficienti.
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