Nella “stanza del figlio” sei un genitore e soffri, in “Kill Bill” sei black mamba e godi ad uccidere. In “io non ho paura” sei un bambino coraggioso, in “salvate il soldato Ryan” sei un marine e hai paura.
Ne “la mala education” sei solo uno spettatore.
Almodovar gode di un fido artistico così ampio che potrebbe farti vedere lo schermo nero per due ore e non gli chiederesti indietro i soldi del biglietto. Ma dimenticarsi di coinvolgerti nel film è un peccato che non basta un Padre nostro.
Ne “La mala educacion” manca quell'effetto Vorwerk Folletto che ti tira dentro a tanti altri film, compresi quelli di Almodovar stesso.
Non coinvolge non perché parla di omossessuali: se riesci a immedesimarti in un personaggio 3D della Pixar di nome Woody con la voce di Fabrizio Frizzi, puoi benissimo entrare nel ruolo omo. Non è questo. Non sono nemmeno le scene di sesso a imbarazzare e a distrarti. Temo che il distacco con cui i protagonisti ti guardano derivi da una storia troppo privata: i personaggi hanno delle brutte partite da sistemare e non ti lasciano lo spazio per entrare. “Stanne fuori, non t'impicciare” sembrano dire. E così sia, con la pellicola che scorre sui rulli un po' algida, persino nei colori.
Il film si può vedere lo stesso? Certamente sì. Già il cast, come sempre nei film di Almodovar, è uno spettacolo compiuto, ma vale la pena andare al cinema anche per essere testimoni di un'opera importante. La mala educacion non è una fotografia a colori che descrive una superficie più o meno complicata. È un documento, una TAC azzurrina che ti mostra le interiora e tutto quanto c'è di marcio. E scoprire che in un tumore non c'è poesia, non stupisce più di tanto.
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