Il cinema racconta e vende emozioni. Chi volesse acquistare un po’ di paura farebbe un buon affare entrando in una sala dove proiettano RING. Il film mette in tensione fin dalle prime scene. Di più: stai lì seduto e hai paura di spaventarti. Magari non accade niente per un po’, ma sei già preoccupato di come potrai assorbire l’urto quando la narrazione si farà di nuovo pesante e succederanno cose terribili. Bisogna essere ottimi registi per ridurre gli spettatori in questo stato. Per farlo bisogna costruire l’ignoto, perché è di quello che si ha veramente paura. In questo, regista e sceneggiatore sono stati bravi. Non hanno percorso i soliti binari dei thriller; non c’è l’uomo che appare improvvisamente dietro le spalle, ormai buono neanche per far passare il singhiozzo. No, in RING la paura è veramente appiccicosa perché di tipo nuovo. (Si tenga conto che ero in un cinema di Valperga, nel Canavese, ma in sala ho sentito gridare più di una persona).
Gli autori sono stati molto meno bravi nel chiudere tutte le trame e nel tirare le somme finali. Ci sono delle falle qua e là, dei problemi non risolti, delle spiegazioni non date. Soprattutto il finale. Se dicessi che l’ho capito, mentirei. Ma non importa. Se vai per comprare paura e ti vendono paura di ottima qualità, non puoi tornare indietro con lo scontrino, e in fondo, l’idea della videocassetta che dopo 7 giorni uccide tutti quelli che la vedono, è una buona idea.
Anzi, pare che adesso ci siano anche delle recensioni che uccidono quando vengono lette...
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