Questi gli attori: Dennis Quaid, Jake Gyllenhall, Emmy Rossum, Dash Mohok, Jay O. Sanders, Sela Ward, Austin Nichols - se ne conoscete uno fermatemi - Arjay Smith, Tamlyn Tomita, Sasha Roiz, Ian Holm.
Perché non c’è nemmeno un divo? Forse perché sono occupati in altre produzioni, forse perché costano troppo, forse perché possono permettersi di dire di no. Se per fare l’attore ci vuole talento, per recitare in un film appartenente al genere “catastrofico” ci vuole soprattutto coraggio, perché il ridicolo è sempre in agguato.
Questo “alba del giorno dopo” il grottesco lo tiene a bada grazie a una sceneggiatura sufficientemente curata (ho sentito dialoghi peggiori in film migliori) e a effetti speciali più che speciali. Anche gli attori si impegnano e fanno il possibile. Nella classifica dei film catastrofici possiamo spingerci fino ad attribuire a “the day after tomorrow” persino l’Oscar, ma dopo qualche giorno la patina dorata si screpolerà e verrà via come forfora, perché sarà sempre un Oscar di serie B. È proprio il genere che non è in grado di comunicare. Magari ci prova a trasmettere un messaggio, in questo caso un avvertimento ecologista, ma si vede che è solo il pretesto per far vedere tanta gente che muore. È questo che riempie le sale. Cosa volete che gliene freghi al pubblico del cinema Margherita di Cuorgné del buco nell’ozono o del protocollo di Kyoto? È invece gratificante vedere masse di persone assiderate. Non è emozionante come il crollo delle torri gemelle, ma ci va vicino. Fino a quando assisteremo alle catastrofi da spettatori avremo la conferma del fatto di essere vivi. È questo il succo, amaro, ma umano. Perciò non vedo l’ora che sia venerdì 4 giugno per rifugiarmi ad Hogwards, protetto dalla magia di Harry Potter.
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