Mi piacerebbe dire che leggo per alimentare la mente, pena l’inedia spirituale. Ma non è così. A volte ricerco emozioni o idee, ma più spesso leggo per puro piacere, perché ho dieci minuti, per curiosità, per trovare nuove atmosfere, per invidiare un po’ l’autore o anche solamente per addormentarmi.
Questa è la prima volta che leggo un libro per recensirlo.
Capita perché l’autore è Silvio Bernelli, torinese, che conosco personalmente. Si intitola “I ragazzi del Mucchio” ed è la storia di un gruppo musicale hard core a Torino, dalla nascita fino all’estinzione. Nel mezzo ci sono altri gruppi, incontri, unioni, divisioni, condivisioni, trasferte, tour, notti, freddo, America, avventure, Europa, amori, concerti e furgoni. Ne emerge il ritratto di persone che hanno vissuto con intensa determinazione la loro adolescenza e che hanno riempito ogni spazio della loro vita con materia pesante. Mentre i ragazzi del Mucchio si esibivano a Berlino o a Los Angeles, inventandosi, palco dopo palco, il mestiere di musicisti, e finanziandosi con la loro arte e poc’altro, la maggior parte dei loro coetanei rimasti a casa si impegnavano - Bernelli non lo dice, ma io lo so - in tornei di Risiko o nello slalom gigante del liceo.
Questo il contenuto del libro.
Il contenitore è una riproduzione cronologica e piana degli avvenimenti. Raccontare in prima persona singolare fatti realmente accaduti, essere uno dei protagonisti, probabilmente pone dei limiti all’autore. Forse non permette di possedere o mostrare uno stile nella scrittura, e probabilmente non consente invenzioni letterarie. Ma Bernelli, capace negli irripetibili anni del “Mucchio” di arrivare ovunque lo chiamassero i sogni, i limiti avrebbe forse potuto (o dovuto) superarli anche questa volta.
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