Leggendo “La Stampa” una domenica mattina, con la doverosa disattenzione da riservare a “La Stampa” e alla domenica mattina, ho incontrato per la prima volta Alain Elkann in una sua intervista ad un vescovo. Chi fosse il vescovo non ricordo.
La domanda che mi raddrizzò dalla soporifera poltrona era questa: “Eminenza, che cos’è la Pasqua?” L’intervistato rispondeva probabilmente con un’altra domanda: “imbecille, non ci sei mai andato a catechismo?” Ma non sapremo mai se andò così, infatti la risposta pubblicata era neutra e scontata.
Da quel giorno non ho perso un articolo di Alain Elkann, e devo dire che lui non mi ha mai deluso. Domande innocue a personaggi potenti e chiacchiere senza costrutto con sconosciuti che non hanno niente di meglio da fare che parlare con lui.
Quando ho visto la pubblicità del suo romanzo “Una lunga estate” non ci potevo credere. Oltre al penoso tributo che La Stampa gli dedica, pubblicando ogni domenica una sua intervista e rinunciando alla pubblicità della Portaerei del Mobile, oltre a questo, dicevo - che mi sembra troppo anche se sei il marito della famiglia Agnelli e se tuo figlio è nel cda dell’IFIL - c’è anche un editore disposto a sacrificare carta e reputazione?
Sì, è Bompiani e appena ho visto la copertina ho sentito che il libro doveva essere mio a tutti i costi. No, a tutti i costi no, perché non voglio che nemmeno un centesimo mio finisca nelle tasche di Alain Elkann. Ma Dio (che non perdona chi fa domande a caso sui suoi ultimi giorni terrestri) me lo ha fatto trovare bello, libero e in evidenza nella biblioteca di Favria. Preso, aperto e letto in 2 ore. Lettura mozzafiato? Così avvincente da non riuscire a smettere? No, 2 ore bastano e avanzano perché sono appena 124 pagine, di piccolo formato e con dei caratteri grossi grossi come i libri per i bambini. Del libro non parlo perché mi sono già troppo dilungato e perché non ce n’è alcun bisogno. E non parlo più neanche di Alin Elkann, ma prometto di continuare a leggere i suoi articoli, fino al giorno in cui mi deluderà dimostrando di possedere un qualche talento.
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