sabato 4 agosto 2007

Il dolore perfetto

È Mondadori, ma sembra un Einaudi, con quel bianco stanco interrotto da una foto d’epoca, molto bella, che invita alla riflessione e ad una lettura attenta. Anche il modo di impaginare il titolo sa tanto di Einaudi. Il titolo stesso è ingannevole: “Il dolore perfetto” e così credi di avere in mano uno Struzzo, ma lo struzzo sei tu. L’autore è Ugo Riccarelli e la sua foto in bianco e nero nel risvolto di copertina è l’icona dello scrittore tipico: consapevole, infelice e insoddisfatto. Strano, perché con questo libro ha vinto il premio Strega 2004, che significa un sacco di copie vendute.

L’incipit è irresistibile e anche se lo leggi in piedi nel reparto libri dell’Ipercoop decidi che puoi regalarlo a persone intelligenti senza paura di sbagliare. Sarà poi noioso? Forse, ma è un Einaudi e uno spessore ce l’ha per forza.

Poi lo trovi in biblioteca e lo prendi in prestito. Ahia! Poche pagine e ti viene su una sensazione di dejà vu. Cosa ricorda? Garcia Marquez e i suoi cent’anni di solitudine, ecco cosa ricorda!  Tutta la saga dei Buendia, ingarbugliati nei nomi, nelle parentele e negli incroci, li ritrovi tradotti da Riccarelli. Gli Aureliano e gli Arcadio qui si chiamano Ideale e Sole mentre Macondo da noi fa “Colle Alto”. Altro non saprei citare perché cent’anni di solitudine è lettura di almeno vent’anni fa. Ma la magia, la semina oculata di avvenimenti prodigiosi, l’atmosfera sospesa di cui sono sapientemente pervase le pagine di Riccarelli sono esattamente quelle di Marquez. O quelle di Jorge Amado nella sua “Guerra alla fine del mondo” o di Isabelle Allende in tutte le sue novelle, o di Osvaldo Soriano, o di Julio Cortazar… La lista potrebbe essere di qualche imbarazzo per Riccarelli il quale, a quasi cinquant’anni, scopre l’America (del sud) e tutti gli autori cari a chi leggeva un libro alla settimana ai tempi del colera. Ecco, diciamo che l’idea del “dolore perfetto” non è un’ invenzione che Riccarelli potrebbe brevettare. È comunque una storia molto ben scritta, che racconta la vita di due famiglie dall’inizio del secolo fino al dopoguerra, sull’argine del paludoso fiume Padule Lungo, nome tanto poetico da dar fastidio. Ma ha quel retrogusto amarognolo, tanto che se fosse ricotta comprata stamattina ti farebbe tornare dal lattaio di corsa per riavere i soldi e dirgliene quattro.

E così ti chiedi come la prenderà la persona intelligente a cui avevi regalato il libro a Natale. Forse non lo leggerà mai, perché -persona acuta- si accorgerà per tempo dell’inganno e facendo 2 + 2 non presterà fede ad una copertina che fa finta di essere un’altra.

Nessun commento:

Posta un commento