Sono 2 giorni che penso da quale verso prendere la recensione di Fahrenheit 9/11 e tutti mi sembrano sbagliati. Credo che sia perché si può recensire un documentario di Super Quarck, ma non un atto politico come questo.
I giudizi sul montaggio e la regia non hanno alcun senso in questo caso. Quindi, con Michal Moore si può essere solamente d’accordo o in disaccordo. Io ho la fortuna di aver scritto un mio commento sul tema in data 1/4/2003 all’inizio della guerra in Iraq, quando Aldo Forbice da Zapping su Radio RAI1 toglieva la parola a tutti quelli che telefonavano per dirsi contrari al’invasione americana e mentre Bruno Vespa si sfregava le verruche sulle mani pregustando le immagini terribili che avrebbe avuto a disposizione per il suo Porta a Porta nelle settimane a venire. (Peggio delle immagini secondo me sono le sue interviste agli esperti. E gli esperti sono peggio ancora).
Mandai quel pezzo a pochi amici che avrebbero continuato a leggermi anche se entravo, non invitato, nella loro sfera privata.
Oggi lo invio a tutti, sperando che continuino a leggermi:
“Nessuno ha chiesto la mia opinione, ma io ve la do lo stesso perché sono troppo incazzato per tenermela. Dovrei essere addolorato per le vittime della guerra, e lo sono, ma non quanto sono infastidito, stizzito e arrabbiato per il comportamento degli americani.
I tentativi, peraltro smascherabili con un minimo di ricerca, di farci credere che la guerra all’Iraq sia una guerra di liberazione sono un insulto all’intelligenza media di un europeo medio.
Guerra preventiva? Ritorno della democrazia? Ma come si permettono?
Il loro obiettivo è avere il potere sul mondo. Basta documentarsi, senza scomodare la sinistra e i pacifisti per scoprire come il percorso americano alla conquista del petrolio del medio oriente sia iniziato trent’anni fa, con Carter e Kissinger e passi necessariamente dal controllo di Iraq e Arabia Saudita. Man mano che si esaurisce, il petrolio diventa sempre meno un combustibile e sempre più un elemento determinante del benessere e del potere internazionale. Dal petrolio di Arabia e Iraq dipendono in parte oggi, e dal 2020 dipenderanno totalmente, Europa, Cina e gli Stati Uniti stessi.
Avere il controllo su quel petrolio vorrà dire avere il controllo sul mondo. Il resto sono pretesti. Sostenere che si sta compiendo un gesto umanitario non è credibile. È come se domani io raccogliessi un biglietto da 100 euro per terra non per mettermelo nel portafoglio, ma per tenere pulito il marciapiede.
Per cui sono incazzato. Con il governo americano, ma anche con i giornalisti e politici italiani che sostengono le tesi americane Delle due l’una: o mentono oppure ci credono, ma in questo caso si comportano come quei begli americani grassi, chiassosi e vuoti dentro, che ridono e si divertono a Disneyland quando passa il pupazzo di Topolino che fa ciao ciao con la manona. E a me, francamente, questi americani incoscienti, che ridono per niente, fanno una gran tristezza”.
A.C. 1/4/03 - 2/9/04
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