Se segui la ricetta e il buon senso la tua crostata non può riuscire male. Quindi, se in un film impasti una storia originale, condisci con un po’ di sentimento, aggiungi un buono e un cattivo, utilizzi attori di prima qualità e guarnisci con ottimi caratteristi, il fim verrà sicuramente bene.
The Terminal però va oltre. Intanto il cuoco è Steven Spielberg, la persona a cui ognuno di noi deve un pezzetto della sua vita, essendo questa composta anche dai film che abbiamo visto. La ricetta è di Jeff Nathanson, e Sacha Gervasi, due sceneggiatori di cui spero di trovare presto altre specialità d.o.c.g., d.o.p. e i.g.p. La materia prima è Tom Hanks, che è talmente grande che regge il film da solo, nonostante l’aromatica Catherine Zeta-Jones, (che non è moglie di Indiana Jones) e come hostess non vale nemmeno i tacchi a spillo di Vanessa Incontrada in “A/R andata e ritorno”. Ma a parte la Jones, che ha la sola colpa di essere accostata a Tom Hanks (una pastiglia Valda contro una pastiera napoletana) il film è delizioso. All’inizio temi che The Terminal sia la metafora di qualcosa, della vita stessa, forse, ed è panico. Che fai se non cogli il messaggio dietro il messaggio? Fai finta di aver capito e copi dal vicino di banco? Poi però ti rendi conto che Spielberg ti sta semplicemente raccontando una favola e ti lasci prendere dalla commedia che raggiunge momenti esilaranti. Tanto che scopri con raccapriccio di avere qualcosa in comune con i buzzurri-capelli-arancioni-e-Nokia-acceso-tutto-il-tempo di Valperga Canavese, visto che si rovesciano anche loro sulle poltrone dalle risate. Il fenomeno dipende dal fatto che Spielberg è un genio della comunicazione e utilizza un linguaggio che tutti possono capire. No problem: appena fuori dal cinema passa tutto.
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