sabato 4 agosto 2007

i giorni dell'abbandono

Essere sceneggiatore e regista di un film significa prendersene per intero la responsabilità: idee, credibilità della storia e degli attori, comprensibilità, ritmo, tensione narrativa, tutto. Roberto Faenza è il regista e sceneggiatore de "I giorni dell'abbandono".

A chi - dunque - chiedere indietro i soldi del biglietto? A Roberto Faenza. Alla cortese attenzione di chi spedire un invito per andare a quel paese? A Roberto Faenza. A quale nome fare attenzione, in futuro, per evitare di prendersi un'altra fregatura? A Roberto Faenza.

Nel film di Roberto Faenza, Margherita Buy fa la traduttrice per un editore e lavora a casa. Ora, con cosa elabora il suo testo la Buy? Con un PC? Con un Mac? No. Roberto Faenza le procura una macchina da scrivere. E allora, invece di seguire il filo della trama (sottile come neanche un ragno potrebbe tessere) ci si domanda perché mai una traduttrice debba pestare sui tasti invece di comporre con Word. Come passerà il lavoro all'impaginatore? Cosa ci vorrà dire Roberto Faenza con questa storia della macchina da scrivere? Non è una divagazione spiacevole, per lo meno per qualche minuto ti distrai e ti salvi dal film. Ma poiché lo schermo è l'unica cosa luminosa del cinema ecco che ricaschi nell'infelice vita della Buy, giusto in tempo per incrociare 5 o 6 volte una barbona davvero poco credibile, che vive sotto i cartoni in una prestigiosa via di Torino, e ti chiedi che cosa rappresenta. Ogni ipotesi è buona. È la donna che Margherita Buy vorrebbe essere? È un fantasma che solo lei può vedere? È una raccomandata a cui Roberto Faenza doveva per forza dare una parte? Alla fine rinunci a capire e non la vedi più. Ma c'è un'altra storia parallela, che viene a incrociarsi, ogni volta che non serve, con la vita sfigata della Buy: è quella di una donna annegata in mare. E di nuovo ti chiedi cosa rappresenta. Se stessa? La barbona? La nonna di Roberto Faenza? Alla fine rinunci a capire e non la vedi più. Poi c'è Luca Zingaretti, al quale Roberto Faenza riserva una parte che più brutta è veramente difficile. È un uomo che dall'oggi al domani lascia la moglie (la Buy), i figli e se ne va. Oddio, capita, e "non amare più non è una colpa" come fa dire Roberto Faenza a Zingaretti, ma certo Zingaretti non ne esce bene. Se sono queste le parti che lo aspettano, è meglio per tutti se continua a fare il commissario Montalbano. Un premio speciale della giuria anche per il tecnico del suono, che con la sua presa diretta riesce a confezionare una marmellata di voci e musiche mal mixate, che ti fanno perdere due parole su tre. (Forse è persino un bene). Alla fine rinunci anche ad ascoltare e fortuna che il film finisce perché non ne puoi più.

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