Se fosse un videogioco sarebbe perfetto: perfette le scenografie, con quei cortili luridi e ingombri di rottami, che ti sembra di essere ai comandi di un personaggio Nintendo. Perfetti i personaggi, afro-americani, afro-cubani e afro-afro. Perfette le atmosfere nere e sospese, che lasciano alla tua fantasia il compito di completarle. E assolutamente perfetti, ovviamente, gli effetti speciali.
Purtroppo Matrix Reloaded è un film, e manca totalmente dell’elemento interattivo. Puoi startene in poltrona, sì, ma senza joy stick. E così non hai modo di evitare le sequenze dei combattimenti, che sono sì ben realizzati, ma decisamente troppo lunghi. Non puoi salvare il gioco e rifare i livelli che ti sono piaciuti di più. Soprattutto non puoi saltare la parte di Monica Bellucci.
Povera Italia, rappresentata nell’evento cult dell’anno dalla modesta Bellucci, nella scena più inutile e meno riuscita del film. La sua colpa, tuttavia, sta solamente nel non saper recitare. Il resto della responsabilità è dello sceneggiatore, che difficilmente avrebbe potuto scrivere per lei un copione più insulso, e che, per di più, la mette in scena subito dopo l’incontro con il Merovingio, uno dei momenti più alti del film: per recitazione, dialoghi, idee innovative: Il film dura 120 minuti circa, di cui 30 sono di troppo, e verso la fine comincia a perdere in creatività: ci trovi persino una sorta di Licio Gelli che ti spiega il perché e il percome di tutto.
Il vero colpo si scena è il finale, che non c’è. Il film si interrompe con un “to be continued”. Mentre in sala il pubblico rumoreggia poco convinto, io non mi scandalizzo. Un po’ perché lo sapevo già e un po’ perché con questo inedito “game over” il film diventa finalmente un gioco.
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