Non incrontravo Daniel Pennac da diversi anni e all’improvviso me lo ritrovo bello incartato il giorno del mio compleanno. La gioia è tale che lo metto da parte, per gustarlo meglio durante le vacanze di agosto. Ma non va come penso io.
La storia comincia con un paranoico dittatore sudamericano che cerca un sosia da mettere al proprio posto ed essere così libero di andare in Europa a divertirsi. Il sosia, che è il vero protagonista del romanzo, si fa presto sostituire da un altro sosia e se ne va a sua volta.
Pennac entra dentro il suo personaggio, lo analizza da ogni lato e arriva fino in fondo, mettendo in luce la struttura intima dell’individuo, quella che è unica e irripetibile, come il DNA. Ma prima di arrivare a questo ottimo punto, Pennac decide di farsi vedere nel racconto. Non in modo discreto come era solito fare Hitchcock nei suoi film, ma con un’invadenza davvero fastidiosa.
Perché aprire il sipario, saltare sul palcoscenico e dire: “sono qui!”? Perché fornire la cronaca degli incontri e dei viaggi compiuti alla ricerca di idee?
Come se non bastasse ogni tanto interrompe la narrazione e pone degli interrogativi a se stesso, al suo personaggio, e quindi anche al lettore, in un paternalistico tentativo di interattività, come se lui fosse il Kundera dell’html e il libro fosse un sito internet. Purtroppo non lo è, altrimenti verrebbe da rispondere: “levati da lì o ti denuncio ai sensi della L. 675/96!”
Alla fine il sosia muore e anche la sua morte non è una normale morte da romanzo. Pennac esce ancora una volta dal libro, va a trovare un’amica, le chiede consiglio, poi torna dentro e scrive le ultime pagine di vita del suo protagonista. Poi, sospirata, la parola fine.
Quella che non finirà mai, comunque, è la stima senza confini per il Pennac che negli anni ’80 e ’90 ha scritto e ci ha dato i libri di Benjamin Malaussene. Chi non ne ha letto almeno uno? Romanzi in cui l’amore, la poesia, la forza e l’intelligenza si combinano per dimostrare come sia possibile, addirittura facile, comprendere e accettare le diversità di pensiero, di etnia e di religione. Il tutto senza compromessi o concessioni e con la genialità che diverte, anzi, che fa ridere di gusto. Anche se sono trascorsi anni, “il paradiso degli orchi” , “La fata carabina” “La prosivendola” “Il signor Malaussene” “Ultime notizie dalla famiglia” e “La passione secondo Therese” conservano la forza geniale della creatività pura, quella che può nascere solamente da un credo, da convinzioni autentiche, da un grande uomo. Ed ecco la vera storia.
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