sabato 4 agosto 2007

La tigre e la neve

Ne “La tigre e la neve” Nicoletta Braschi guida un Ulysse e Roberto Benigni una Punto blu. Metallizzata. Pulitissima. Strano eh? Sarebbe strano anche se Benigni guidasse una Opel o una Toyota, ma su una Fiat ci sta proprio male, forse perché è troppo scontato vedere un’auto italiana in un film italiano, o forse perché Benigni è un poeta e trovare una rima per Fiat è veramente dura.

La premessa per dire che la pubblicità occulta dà fastidio ed è una forma di corruzione per la quale non c’è immunità naturale nemmeno per i grandi. Difficile chiudere il capitolo “difetti” perché l’Iraq ricostruito da Benigni è frutto di una scenografia che chiede molto all’immaginazione, e la recitazione della Braschi ha bisogno di molta clemenza. Per dirla tutta, le due ragazzine che interpretano il ruolo delle figlie di Attilio (Benigni) oltre a essere bruttine, non recitano: si muovono in modo scoordinato e dicono le loro battute con le inflessioni e i difetti di pronuncia di adolescenti prese a caso in una prima liceo. Possibile che Benigni non se ne sia accorto?

In realtà Benigni ha tutto sotto controllo. Sa quanto deve essere dettagliato uno scenario e come va pronunciata ogni sillaba. Tuttavia non se ne cura, perché con “La tigre e la neve” non sta girando un film, sta raccontando una favola, e nelle favole non ha importanza se ascolti seduto per terra o sulle ginocchia del nonno; conta solo il narratore, che decide le voci dei personaggi.

Appena capisci che sei invitato in una fiaba, riesci a perdonare le ragazzine racchie e ti sembra persino che la voce della Braschi mostri qualche tentativo di passione.

Difficile parlare bene di un film parlandone male, ma “La tigre e la neve” è così: imperfetto ma intenso, confuso ma geniale. Sì, geniale perché Benigni è riuscito a raccontare una delicata poesia d’amore prendendo in giro il pubblico dall’inizio alla fine. Quando ti accorgi che nell’apparente semplicità della storia in realtà non avevi capito niente, è ormai tardi. Il delicato imbroglio costruito dalla sceneggiatura di Roberto Benigni e Vincenzo Cerami fa gol all’89°, quando ormai è impossibile pareggiare. E la sorpresa è talmente inaspettata che rimani lì a pensare se merita un altro Oscar. No, forse l’Oscar no, ma almeno un grazie, questo sì.

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