Quando un film ha la capacità di spostare l’attenzione da se stesso alla storia di cui parla ha già sicuro il 18 in tasca. In più, “The Manchurian Candidate” può contare su un cast che porta altri punti: Meryl Streep è in gran forma, Denzel Washington sembra sempre il fratello nero di Barbie, ma meno del solito (meno plasticoso, non meno nero), mentre Liev Schreiber, un attore quasi sconosciuto, fa venir voglia di incontrarlo ancora. È lui il Manchurian Candidate, un candidato alla vice presidenza degli Stati Uniti molto particolare, dal momento che la sua volontà è controllata bio-tecnologicamente da un occulto gruppo di potere.
Come si può immaginare l’idea del film cammina in bilico sul sottilissimo confine tra tecnologia e fantascienza. È quindi normale che barcolli, sbandi e inciampi. Tuttavia un secondo prima del ridicolo ha la capacità di rimettersi in piedi (cosa che ad esempio Sandro Bondi che è un politico telecomandato non sa fare), grazie ad una sceneggiatura azzardata, ma controllata e a un regista che sa cosa sono le misure.
Non volendo chiedere altre prestazioni ad un film che non siano quelle di intrattenerci e, possibilmente, di dirci qualcosa, possiamo congedare “The Manchurian Candidate” con un onesto 24. Se avesse mini gonna e occhi azzurri anche 26.
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